Marcello Flores: «L’Anpi e la sinistra raccontino la Resistenza con linguaggi diversi» | Culture
Top

Marcello Flores: «L’Anpi e la sinistra raccontino la Resistenza con linguaggi diversi»

Lo storico riflette sul 25 aprile: «Cresce la lontananza dalle generazioni più giovani: si può riconnettere quel passato con il presente attraverso un personaggio, un accadimento locale, un libro, una memoria»

Marcello Flores: «L’Anpi e la sinistra raccontino la Resistenza con linguaggi diversi»
Preroll

admin Modifica articolo

20 Aprile 2021 - 17.51


ATF

Siamo alla vigilia del 25 aprile, data storica che ogni anno viene celebrata, spesso in mezzo a polemiche, in ogni parte del Paese. Sarà così anche quest’anno? Su questo argomento abbiamo rivolto alcune domande a Marcello Flores, scrittore e noto studioso di storia contemporanea e che ha pubblicato, due anni fa, con Mimmo Franzinelli,  “Storia della Resistenza”  (Laterza, 2019, pgg. 673, 33 euro).
  Che 25 Aprile avremo quest’anno, dato che è  già il secondo che festeggiamo con le regole che ci impone la pandemia? L’unità che si è registrata attorno a Draghi con l’appoggio la suo governo si registrerà anche nei festeggiamenti? 
Immagino che anche quest’anno avremo una celebrazione sobria, molto istituzionale, anche se poi in rete si potranno trovare molteplici iniziative, già annunciate, da parte di varie associazioni e gruppi (soprattutto gli istituti di storia della Resistenza e le associazioni di ex partigiani ed ex deportati). Non essendoci la possibilità, come in passato quando vi erano celebrazioni con manifestazioni, di bandiere, parole d’ordine, fischi nei confronti della Brigata Ebraica (come purtroppo è sempre accaduto), immagino che almeno dal punto di vista ufficiale e istituzionale si potrà assistere a qualcosa di unitario, anche se sono certo che alcune forze di maggioranza (Lega e 5 Stelle) che non hanno mai avuto la Resistenza come momento centrale della loro identità e della loro memoria, ne saranno probabilmente assenti.
Stanno, mese dopo mese, scomparendo i partigiani, cioè i veri protagonisti del nostro secondo risorgimento? Questo sta avvenendo in un momento in cui si è fatta più labile la trasmissione della storia e del sapere di un’intera generazione. Influenzerà il modo in cui vivremo, in seguito, questo accadimento e il modo stesso con il quale verrà festeggiato?
Certamente, e non solo perché i protagonisti vanno scomparendo e la loro presenza si è ormai assottigliata molto, ma perché la lontananza da quegli eventi aumenta e aumenta anche la differenza – su quasi ogni aspetto – tra la vita e la realtà di allora e quella di oggi, rendendo più difficile, soprattutto per le generazioni più giovani, trovare un rapporto diretto o comunque interessante e fecondo tra la loro vita e la loro esperienza e quell’evento, da cui è sorta la repubblica democratica. La lontananza tra la Resistenza e un ventenne di oggi è la stessa che esisteva tra la mia, la nostra generazione, e l’ultimo decennio dell’Ottocento (per dire, l’affare Dreyfus oppure la nascita in Italia del Partito socialista). È inevitabile che i festeggiamenti di questa giornata diventino sempre più ufficiali e istituzionali, ma al tempo stesso può aumentare la proposta che viene fatta da più parti di quella che viene chiamata la public history, e cioè interventi che, con diversi linguaggi e modalità differenti, provino a riconnettere il passato con il presente, attraverso un personaggio, un accadimento locale, un libro, una memoria, un’opera artistica. Bisognerà accettare – e io la auspico – una sorta di «celebrazione fai da te» che tanti gruppi vogliono e possono costruire, senza però pretendere di dettare una «linea» generale alle istituzioni pubbliche.
Cosa dovrebbero fare – e magari non fanno – l’ANPI, la sinistra italiana e il movimento democratico per raccontare, in maniera autentica e credibile, la storia del Novecento? Una storia così complessa e piena di luci – come quella della Resistenza – ma anche di ombre e zone grigie sulle quali continuano a manifestarsi disagi e ambiguità culturali?
L’ANPI ha tra i suoi compiti quello di mantenere viva e trasmettere la memoria e la conoscenza della Resistenza. Spero che voglia e sappia farlo con una sempre maggiore apertura, accettando di porre al centro della sua attenzione anche quelle «ombre» che ha quasi sempre evitato di affrontare e su cui è necessario invece puntare la luce. Non si tratta solo di quei momenti di «violenza partigiana» o di violenza «tra partigiani» su cui Franzinelli e io abbiamo cercato di dire qualcosa nel nostro libro. Ma soprattutto di quell’ampia «zona grigia» che è certamente la più difficile da studiare e analizzare ma che è anche quella che permette meglio di comprendere alcune lunghe continuità della storia italiana, la scarsa partecipazione politica (se non di facciata), lo scarso senso civico, il familismo antistatuale o l’assistenzialismo ultrastatale. Non può essere comunque compito di una forza politica – la sinistra o il movimento democratico, chiamiamola come vogliamo – approfondire la storia. Essa, però, può favorire l’abbandono di stereotipi, della sopravvivenza di miti e anche, a volte, di una sorta di fake history che ha accompagnato la militanza politica e che è rimasta spesso nella memoria senza essere più rimessa in discussione.
Nel corso delle proteste sociali, legate alle chiusure delle attività commerciali, insieme a coloro che avevano tutti loro buoni motivi per manifestare hanno fatto la loro ricomparsa i militanti di estrema destra, in particolare quelli di Casa Pound.  È occasionale? O è il segnale che le destre estreme potrebbero utilizzare il disagio sociale per alimentare la loro forza? 
La destra ha sempre cercato, in momenti di disagio sociale, di tensione, di perdita di fiducia nello Stato, d’intervenire. Gli interventi odierni di Casa Pound sono piccoli episodi di ordine pubblico che si potrebbero facilmente controllare e impedire, anche se si teme, evidentemente, che ne possa approfittare l’unica forza di opposizione che c’è oggi in parlamento e che ha una lunga storia di «flirt» proprio con Casa Pound. Se però pensiamo ai tentativi del passato – e ricordo solo, per la gravità e l’estensione del fenomeno – la rivolta di Reggio Calabria nel 1970, penso che possiamo essere fiduciosi, anche se non bisogna assolutamente abbassare la guardia nei confronti di posizioni e comportamenti che sono apertamente anticostituzionali.

Native

Articoli correlati