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Quando parlavamo tutti come "Carosello"

Il primo gennaio del 1977 l’Italia rimase orfana del programma cult di pubblicità/spettacolo che aveva la capacità di convincere con il sorriso e le buone maniere.

Quando parlavamo tutti come "Carosello"
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29 Dicembre 2020 - 22.50


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di Marcello Cecconi

Il primo gennaio 1977, 44 anni fa, andò in onda l’ultima puntata di Carosello, il programma di pubblicità/spettacolo nato venti anni prima e che ha cambiato le abitudini degli italiani. Fu tale il successo che gran parte del pubblico si ritrovò a parlare e cantare come i personaggi di Carosello. Si chiudeva per sempre il primo programma televisivo che portava i soldi della pubblicità dentro il monopolio televisivo che si caratterizzava per il suo aspetto pedagogico.
Carosello nacque nel febbraio del 1957 quanto la televisione muoveva i primi passi e l’unico programma nazionale Rai si divideva fra cultura alta e intrattenimento morigerato ispirato dal governo democristiano ancora appoggiato dalla destra storica. Al 31 dicembre 1956 gli abbonati erano meno di 400 mila e un apparecchio televisivo costava 12 mensilità di uno stipendio medio, eppure per le aziende italiane, che stavano costruendo il “miracolo economico”, non era difficile prevedere il rapido sviluppo del mezzo e vedere nello stesso un importante canale da sfruttare per promuovere i loro prodotti.
La Rai monetizzava i proventi unicamente dal canone ma da tempo stava pensando a un contenitore pubblicitario. L’idea era proporre agli inserzionisti qualcosa di più della piatta lettura di annunci pubblicitari della radio, qualcosa di più coinvolgente ed emozionante attraverso l’intrattenimento e lo spettacolo, ma che non fosse troppo invasivo. Insomma si doveva catturare l’attenzione degli ascoltatori con scenette divertenti per trasportarli insieme al sorriso alla presentazione finale del prodotto.

Inizialmente la Rai pensava di produrre in casa gli spot richiedendo 500 mila lire per sketch ma capì quanto sarebbe stato complicato e lasciò agli inserzionisti la scelta di aziende esterne. L’unico obbligo era di farlo attraverso la Sacis, la società nata appositamente per il controllo della pubblicità attraverso le “Norme di autodisciplina per le trasmissioni televisive” e tramite il “Codice di autodisciplina pubblicitaria”. Norme che dettagliavano tutte le situazioni scabrose con particolare attenzione alla morale sessuale. Le regole richiedevano 135 secondi di durata dello spot suddivisi in 105 di spettacolo e 30 di “codino”, la pubblicità sul prodotto. La marca poteva apparire scritta o nominata al massimo per 6 volte e con divieto di replica di uno stesso episodio, cosa che aumentò la creatività.

La scelta del nome Carosello si deve al successo che aveva avuto la pellicola del 1954 Carosello Napoletano, un film-rivista basato sulle attività di un cantastorie. E, come nel film, l’obiettivo era raccontare, cantare e far sorridere in un tempo brevissimo. Il regista Luciano Emmer s’incaricò della sigla inziale, una serie di sipari che si aprivano uno dietro l’altro accompagnati da una sigla musicale, rielaborazione di una tarantella napoletana, Pagliaccio, pescata nel repertorio popolare dell’Ottocento. 
La guida ufficiale della tv, il Radiocorriere, non volle dar risalto a questo spericolato progetto e nella lista oraria dei programmi del 3 febbraio 1957 c’era scritto solo: “Questa sera alla TV ore 20:50 Per guidare meglio”, con riferimento allo spot d’apertura della Shell. E così fu, la prima domenica di febbraio, dopo il tg, alle 20,50 debutta Carosello con le prime 4 pubblicità della televisione italiana: la Shell Italia, “Per guidare meglio”, in cui Giovanni Canestrini, giornalista automobilistico che dà consigli sulla sicurezza stradale, L’Oréal con Mike Bongiorno in “Un personaggio per voi”, in cui viene intervistato un personaggio noto consegnandogli al termine una confezione del prodotto. Poi il primo episodio della serie “Quadrante della moda” con Mario Carotenuto per le macchine per cucire Singer e si finisce con la prima puntata “L’arte del bere” con Carlo Campanini e Tino Bianchi per il Cynar.

Il primo spot di Carosello del 3 febbraio 1957, “Per guidare meglio”, Shell

Poche le eccezioni che interruppero i 20 anni di trasmissione quotidiane, il 2 novembre e il venerdì santo oltre a qualche evento eccezionale come la morte di Papa Pio XII e di Papa Giovanni XXIII, quella di John Fitzgerald Kennedy e la strage di Piazza Fontana con una sospensione di 3 giorni. Carosello incise nelle abitudini e comportamenti degli italiani con i moltissimi personaggi rimasti iconici nella storia della televisione italiana, ma anche nei gesti e “modi di dire” che da quella trasmissione sono entrati nel linguaggio comune. La pubblicità come divertimento passò facilmente attraverso quei generi di cultura popolare in cui l’Italia eccelleva: il vecchio avanspettacolo, la rivista e la commedia all’italiana. Fu coinvolto cinema e teatro italiano e straniero: Aldo Fabrizi, Totò, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Raffaella Carrà, Giorgio Albertazzi, Pippo Franco, Gianfranco D’Angelo, Renzo Arbore, Gianni Boncompagni, Adolfo Celi, Abbe Lane, Orson Welles e tanti altri.

“Gli incontentabili” Carosello con Leo Gullotta e Adolfo Celi

Nacquero personaggi animati: Calimero, Jo Condor, il Gigante amico, l’Omino coi baffi, il vigile Concilia e il foresto, Ulisse e l’ombra, l’indianino Unca Dunca, Olivella e Mariarosa, Capitan Trinchetto, i Cavalieri della Tavola Rotonda. I pupazzi animati come Topo Gigio, Carmencita e Caballero, gli abitanti del pianeta Papalla, l’ippopotamo Pippo. Carosello, nel 1971, arrivò addirittura al MoMa, il Museo d’Arte Moderna di New York con una selezione scelta e, in questa occasione, uscirono allo scoperto anche registi importanti del nostro cinema che fino allora avevano lavorato alla produzione degli sketch senza apparire come i fratelli Paolo e Vittorio Taviani, Mauro Bolognini e Giuseppe Patroni Griffi.

Carosello – Jo Kondor

Quasi 20 milioni di italiani di cui 9 milioni di bambini seguivano Carosello, poi a frenare questo successo che sembrava inarrestabile arriva il Sessantotto che mette in discussione il boom economico e Carosello che ne era il simbolo. Intellettuali e nuove generazioni non si riconoscono più in quel tipo di società. Si tenta di cambiare stile, si accorcia la durata ma la formula non funziona più. Il primo gennaio del 1977, appunto, l’ultima puntata di quel Carosello che non è stato solo appuntamento serale fisso per 20 anni che ha lasciato tracce nel costume di generazioni di italiani, ma anche padre inconsapevole della comunicazione pubblicitaria virale di oggi.

 
 
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