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Il Medioevo modo comodo per auto-assolversi sugli orrori di oggi

Il ‘buio Medioevo’ come metafora di società primitiva, pericolosa e arretrata viene evocato dai media nelle occasioni più varie. Ma le cose non stanno così

Il Medioevo modo comodo per auto-assolversi sugli orrori di oggi
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Gabriella Piccinni Modifica articolo

29 Ottobre 2020 - 17.00


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Nel febbraio scorso, quando la pandemia innescata dal Covid-19 iniziava a trasformarsi da ipotesi in realtà, abbiamo letto che “L’epidemia nell’epoca della globalizzazione può dare origine a un nuovo Medioevo”. Per dire che, come in quell’epoca lontana e indistinta, gli uomini potrebbero oggi trovarsi in balia di una malattia incontrollabile e letale, capace di generare, in una catena funesta, isolamento, povertà e fame.

Non si tratta di un’idea originale. Il ‘buio Medioevo’ come metafora di società primitiva, pericolosa e arretrata viene evocato dai media nelle occasioni più varie. Un paio d’anni fa un uomo politico scomodò la definizione di ‘medievale’ addirittura per il provvedimento di chiusura dei negozi la domenica, mentre un dirigente politico ormai ex padano dichiarava: “Mi fa schifo, è roba da Medioevo”.

Intendiamoci, simili metafore le abbiamo ascoltate dalla bocca di esponenti politici di tutti i colori e lette su testate delle tendenze più varie, e quasi mai nella bettola sotto casa, giulivamente presentate in frasette a effetto: “non si tenti di riportare l’Italia al Medioevo”; “i vitalizi sono un privilegio medievale”;  “noi vogliamo una città moderna e all’avanguardia, non un ritorno al Medioevo”; “viviamo nel Medioevo dell’energia”; “sui diritti civili siamo nel Medioevo”; “non approvando lo ius soli l’Italia si è fermata al Medioevo”; “hanno sparato in strada a una bambina indifesa come nel Medioevo”, quando le pistole si compravano allo spaccio in fondo alla strada.

Ci sono poi anche i pensieri dei ‘positivi’, quelli che dichiarano il proprio amore per “il Medioevo, quando le donne stavano a casa a badare alla famiglia”, in barba al fatto che allora circa un terzo della manodopera nei cantieri edili italiani era costituito da donne, tanto per dire, mentre oggi non se ne vede una. Il fatto è che, in molti casi, quando la gente dice o scrive Medioevo opera un corto circuito cronologico, e sembra aver presente più l’Italia dei primi Anni ’50, quando Franca Viola, sempre per dire, non aveva ancora rifiutato il matrimonio riparatore con il suo violentatore, pratica ampiamente praticata nel mondo contemporaneo.

Ma come potrà l’Italia uscire dai propri errori se continuerà ad autogiustificarsi, a non assumersi le proprie responsabilità, peraltro gravissime, nei confronti ‘della Storia’ oltre che delle persone coinvolte ‘nelle storie’? Il fatto è che quando contempliamo i nostri orrori o errori o anche semplici mancanze ci troviamo nel pieno del nostro tragico presente. Facciamocene una ragione per iniziare a combatterli, senza alibi autoassolutori.

Capovolgiamo il punto di vista. Siamo nel 1327 e alcuni cittadini mossi a pietà hanno consegnato una petizione al Comune di Siena. Sostengono che le prigioni vanno rinnovate perché solo negli ultimi due anni lì dentro è morta una sessantina di carcerati, presentano i risultati di una perizia tecnica che ha confermato il degrado degli ambienti. Tuonano che tollerare questo stato di cose significa essere crudelissimi e peccare di omicidio. Richiamano i principi del diritto romano. Ed ecco il punto centrale del loro accorato appello: le carceri, dicono, devono essere luogo di custodia e non di pena e sofferenza (per i residui amanti della lingua dei padri questo è il breve brano in latino: “carceres dicti comunis secundum iura debent esse ad custodiam hominum et non ad penam”).

I politici accolsero la petizione, esaminarono le perizie, aprirono il cantiere e tre anni dopo i detenuti vennero trasferiti, nottetempo, nella prigione nuova.

Eravamo nel ‘buio Medioevo’, sempre per dire.

 

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