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Cristina Comencini: «Siamo sempre femministe, ma in modo diverso»

La regista e scrittrice al festival fiorentino “L’eredità delle donne” presenta il romanzo “L’altra donna”: «Oggi bisogna fare il cammino con gli uomini, non contro»

Cristina Comencini: «Siamo sempre femministe, ma in modo diverso»
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24 Ottobre 2020 - 16.15


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di Francesca Fradelloni

Potrebbe essere il diario di una relazione, ma anche un racconto di storie: una dentro l’altra. Una matrioska di sentimenti che si scoprono andando a fondo. Nel suo ultimo libro “L’altra donna” (Einaudi, pp. 175, € 18,00), Cristina Comencini, scrittrice e regista romana, figlia d’arte, nonché mamma del candidato sindaco di Roma Carlo Calenda, racconta di donne senza stereotipi, che è già un grande passo in avanti. Cristina Comencini presenterà la sua ultima fatica editoriale domenica 25 ottobre alle 16.15 al B9-Coworking di Manifattura Tabacchi, ultima giornata del Festival fiorentino “’Eredità delle donne” con la direzione artistica di Serena Dandini (sotto trovate i link al festival e alla presentazione).
Nel tortuoso meccanismo delle relazioni la scrittrice e regista si infila con dovizia di sentimenti e con una delicata empatia. Nel racconto due donne e un uomo. Maria, è stata per 20 anni la compagna di Pietro, professore universitario di economia, molto brillante. Pietro ha l’amante, ormai diventata per lui una “morosa”, di 30 anni meno di lui. Il professore quindi intraprende una seconda vita con questa ragazza.
Maria, l’ex moglie, si finge un’altra persona tramite un social network, Facebook, e diventa amica della giovane Elena, l’attuale amante di Pietro. Le due donne si raccontano, ma raccontano pure Pietro, con i loro occhi, diversi, ma attenti. Le due donne, si raccontano a vicenda le storie col proprio uomo. Maria, la storia col suo ex, ed Elena, la storia con Pietro. Con una sorpresa finale che mescolerà le carte, che mette di nuovo in campo gli equilibri. L’autrice ci guida nel viaggio e nelle verità celate del volume e in riflessioni su femminismo e tempo del Covid.

Maria ed Elena si rispecchiano, entrambe donne con un vissuto, sofferenze, storie alle spalle. Che donne sono?
Le due donne hanno in comune che sono state donne dello stesso uomo. Sono però diversissime. Maria ha una visione di vita molto tradizionale: mettere su famiglia e costruirsi una vita stabile. Elena invece è una donna più libera, meno tradizionalista negli scopi della vita. Ha una gerarchia di valori diversa, esperienze differenti. In qualsiasi altra storia si sarebbero chiamate rivali, ma a me questo sguardo non mi appartiene e ci ho visto, non una nemica, ma semplicemente l’altra donna. Il libro è scritto dal punto di vista della ragazza, con i suoi occhi.
Non rivali, ma c’è un inganno?
Certo Maria con una menzogna entra in contatto con Elena. Già qui però c’è l’intento di conoscere, capire, sapere. Una sorta di avvicinamento verso l’altra. Questo diventa un rapporto di scambi sinceri, curiosi, attenti. Senza antagonismo. Si travasano il diverso modo di percepire l’uomo che hanno in comune, la differente modalità di vivere il rapporto che hanno con lui. In tutto questo relazionarsi, ciò che viene fuori, è la loro vita: senza filtri, trasparente. Saltano le gabbie generazionali, irrompono i figli, le parole scritte, ma mai consegnate. Si costruisce una amorevole complicità. Una forte condivisione.
Nel libro c’è un importante cambiamento di approccio al tema sentimentale femminile.
Sì, per la prima volta una storia letteraria con due donne che si parlano, anche se a distanza, ma senza la mediazione di un uomo. In libertà. Sono due donne che se pur su due piani scomposti, si assomigliano in ciò che provano.
Pur occupandoci spesso, come società, di temi femministi, si ha l’impressione, però, che quando poi si pronuncia la parola “femminista”, prenda forma, tutto intorno, il vuoto. Perché questo termine fa così paura?
È un termine che rappresenta un processo di lotta avvenuto quando c’era il bisogno di usare un lessico preciso, quando era obbligatorio “rompere” e scardinare le convenzioni. All’epoca, ed è stato necessario, per far decollare quel tipo di battaglia bisognava rompere anche con l’universo maschile. Era una tappa della lotta, ora le cose sono cambiate, il processo è avviato anche se c’è tanto da fare ancora. Parliamo sempre di temi femministi, però quella parola richiama quello “step” della lotta. Si può dire che siamo sempre femministe, ma che lo siamo in un periodo storico diverso in cui c’è bisogno di portare avanti certi temi non rompendo con la famiglia, non rompendo con il proprio uomo. Non rompendo con quel lato di femminile che abbiamo dovuto mettere da parte per essere ascoltate all’epoca. Ogni gesto ha i suoi tempi, e le parole con il loro significato, li accompagnano, questi tempi. Oggi il cammino bisogna farlo con gli uomini, non abbiamo bisogno di minare quel rapporto, frustrando la possibilità di sedurre. Elena lo dice nel libro. Elena vuole tutto: lavoro, soldi, famiglia, uomo e libertà. Tutto. Vuole una conciliazione di rapporti. C’è bisogno di gestire quella contraddizione.
È stata la promotrice dell’appello delle donne all’Europa contro gli egoismi da coronavirus. Cosa voleva ottenere esattamente quella sottoscrizione?
Si trattava innanzittutto, e ci tengo a dirlo, di una sottoscrizione aperta a uomini e donne per essere in prima fila nella ricostruzione dei valori comuni dell’Unione Europea. Scienziate, scrittrici tra cui Elena Ferrante e Annie Ernaux, registe come Margarethe von Trotta, hanno firmato l’appello, abbiamo raccolto 16mila firme. Abbiamo focalizzato il tema, tracciato la strada per affrontare altre priorità, per dire basta agli egoismi nazionali e affermare che era giunto il momento di ricostruire i nostri Paesi con un grande progetto comune che mettesse al centro gli esseri umani e che facesse sempre più assegnamento sui talenti, l’intelligenza e il cuore delle donne. Con il Recovery Fund sembra che ci abbiano ascoltato visto che c’è come priorità il tema del gender gap. Ora si tratta di capire se andranno avanti.
Visto che ci stiamo avvicinando ad un altro periodo di sacrifici, come è stato il bilancio del suo lockdown?
È stata la prova della verità. Di colpo questa vita frenetica e a scatti ha messo in fila le cose primarie della mia vita. Tutto era lì, dentro la casa, nelle relazioni famigliari e amicali, nell’amore e nelle cose importanti. In questo improvviso vuoto ho ritrovato il contenuto. Cioè, la soluzione per salvarci non solo dalla vita di adesso ma anche da quella che conducevamo prima. Ci siamo preoccupati di come accudire i nostri cari o le persone sole e a rischio che conoscevamo; ci siamo sentiti sconvolti dalla riorganizzazione dell’attività lavorativa o scolastica.
È così che i valori, comunemente definiti privati si sono riscoperti valori di un’intera comunità. Lo dico da persona fortunata perché questo momento di verità ha fatto venire fuori anche violenze, fatiche, dolori. Non ho mai perso di vista il contesto, il mondo tutto, la realtà. Questa è stata la mia esperienza.

Il sito del festival L’eredità delle donne

Clicca qui per l’incontro con Cristina Comencini

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