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Sulla rotta dell’umanità. Alessandra Sciurba narra come e perché salvare migranti

La presidente di Mediterranea e filosofa nel libro “Salvarsi insieme” descrive un soccorso di 59 persone in mare e spiega perché respingere è disumanizzante. Anche per il diritto

Sulla rotta dell’umanità. Alessandra Sciurba narra come e perché salvare migranti
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26 Giugno 2020 - 12.21


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di Thomas Casadei

“C’è stato un tempo in cui il tratto di mare in cui ci troviamo era pieno di navi: una flotta civile e militare, coi centri di coordinamento marittimo di soccorso di diversi Paesi europei che dirigevano anche le imbarcazioni delle organizzazioni non governative. Perché l’obiettivo era unico: salvare il più possibile, salvare tutti. Ora, invece, questo mare-cimitero è anche un deserto. Neppure i pescatori lo attraversano più per paura di essere abbordati dai libici, cosa che capita a volte e spaventa, e soprattutto per non ritrovarsi davanti al dilemma terribile tra soccorrere dei naufraghi e affrontare le conseguenze per averlo fatto: perché invece che medaglie, in questo mondo capovolto, rischiano settimane di sequestro della barca, senza potere lavorare, persino pene severe, processi infiniti. Per questo hanno semplicemente cambiato rotta, evitando anche le zone più pescose, pur di non incrociare le vie d’acqua che portano da Al Khoms a Lampedusa, o da Zwara a Malta”.
Così Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea ma anche ricercatrice di filosofia del diritto e coordinatrice dello sportello della Cledu – Clinica Legale per i Diritti Umani presso l’Università di Palermo, descrive il contesto da cui muove il suo libro, appena pubblicato, Salvarsi insieme. Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità (Ponte alle Grazie, Milano 2020, pp. 176, 15 euro; la citazione è a p. 9. Clicca qui per la scheda editoriale).

Nel luglio del 2019 la barca a vela Alex, di Mediterranea Saving Humans, ha soccorso cinquantanove persone in un tratto del Mediterraneo controllato dalla Libia. Il libro racconta la storia di quell’incontro che ha cambiato le vite di soccorritori e soccorsi, e del modo in cui, “salvandosi insieme”, hanno sfidato decreti-legge e imposizioni governative illegittimi riaffermando, dal basso, il diritto internazionale dei diritti umani e del mare.
Quello delle migrazioni che attraversano il Mediterraneo centrale e delle navi della società civile che cercano di portare in salvo i profughi trasformati in naufraghi a causa delle politiche migratorie europee è senz’altro il tema più strumentalizzato a fini politici.
La questione è affrontata nel testo da una prospettiva inedita. La narrazione è condotta tutta al presente, momento per momento, e immerge in un’avventura straordinaria, trascinando a bordo anche chi legge.

Al racconto di quel viaggio si intreccia la storia di Mediterranea e dei suoi equipaggi di terra e di mare (clicca qui per il sito dell’organizzazione).
Mediterranea è un progetto che si prefigge uno scopo fondamentale, primario, che relativizza ogni altro obiettivo o disegno: portare soccorso a chi rischia la vita e difenderne la dignità e i diritti fondamentali. Un’azione che richiede coraggio, tempismo e, specie nel contesto del mare, coordinamento.
Nel testo i momenti del soccorso sono descritti con straordinaria puntualità: “Siamo incredibilmente tranquilli. I gesti sono perfetti e coordinati. Nessuno si agita. Le persone da sollevare e trasbordare sembrano non finire più. Ma noi stiamo procedendo con la stessa serenità per tutte, fino all’ultima. Forse è quello che succede quando ci si trova in una condizione in cui ogni errore può essere fatale, e dalla capacità di ciascuno di restare lucido e presente dipende non solo la propria incolumità, ma anche quella di tutti gli altri. Questo significa essere un equipaggio. Ho il tempo di pensarlo mentre insieme agli altri non mi fermo a chiedermi se ce la faremo e cosa succederà tra poco. Sono tutti a bordo, anche l’ultimo è salito” (p. 24)

Dal testo affiorano, di qui un altro tratto di grande originalità e pregio del volume, riflessioni filosofico-politiche e giusfilosofiche, brevi e utili a sospendere per un attimo la concitazione degli eventi. Esse portano a comprendere cosa si stia giocando oggi, per tutte e tutti, in mezzo al Mediterraneo, in termini di futuro possibile della nostra civiltà giuridica (una sfida colta in tutta la sua portata per esempio nel volume Il diritto al viaggio. Abbecedario delle migrazioni, a cura di L. Barbari, F. De Vanna, Torino, Giappichelli, 2018 (clicca qui), aperto proprio da un contributo di Alessandra Sciurba sulla decisiva questione dell’asilo come “diritto”).

La portata epocale di queste vicende emerge in un altro passaggio del libro assai significativo: “Io guardo Pascal e gli altri. La donna con il ventre dolente ha sollevato la testa, ha lo sguardo pieno di speranza, mi sembra, quando guarda dritto di fronte a sé, ma appena cerca i nostri occhi li scruta come per trovare risposte a cosa aspettarsi. Un ragazzo molto giovane si commuove d’improvviso. Inizia a singhiozzare. Non è paura, non è l’adrenalina che lo abbandona e si porta con sé le ultime forze. O meglio, credo sia entrambe, ma non solo. Le sensazioni appuntite sono smussate da qualcosa che descriverei come felicità. Lui è felice, così felice, perché ha l’Italia è davanti, a un passo. Quanti ne ha fatti, di passi, per arrivare fino a qui. Tutti quei giorni e quelle notti, tutto quell’inghiottire violenza e violenza, la fatica che non si può raccontare, per sopravvivere a stento” (p. 141).

Il senso profondo – prosegue l’autrice, oltre che ricercatrice e operatrice socio-legale, da molti anni coordinatrice di progetti sul territorio siciliano e attivista anni sui temi delle migrazioni e dei diritti umani – sta nel ritrovarsi davanti ad un porto, quello di Lampedusa, che rappresenta anche una scommessa positiva, uno sguardo aperto sul futuro, che possa lasciare alle spalle le scelte e le retoriche dei porti chiusi. Porti chiusi significano dolore e morte di esseri umani, di donne, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini, esseri umani.

Le pagine di Sciurba, pensate attimo per attimo durante il viaggio di una barca a vela, inducono a sperare in un lieto fine, in cui a vincere su tutto sono la tenerezza e il rispetto per la condizione umana in quanto tale. “Salvarsi insieme” significa allora riaffermare i valori della libertà e la piena garanzia dei diritti, per tutti e tutte, oltre muri e confini, oltre scellerate scelte di chiusura; significa ancorare il futuro a un insopprimibile anelito di pace e aiuto reciproco.
La storia di una barca a vela, in tempi duri e difficili, mostra che questa rotta è non solo praticabile, ma l’unica via per consegnare un futuro degno all’umanità tutta.

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