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“In cultura troppi lavorano a meno di 8 euro l’ora o senza contratto”

Precari, paghe da fame, tanti senza contratti: gli attivisti nei beni culturali del gruppo “Mi riconosci?” hanno condotto un’indagine tramite questionario e chiedono una legge

“In cultura troppi lavorano a meno di 8 euro l’ora o senza contratto”
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28 Ottobre 2019 - 22.48


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Chiara Zanini

Sono impressionanti i primi dati che emergono dall’inchiesta “Cultura, contratti e condizioni di lavoro” che il gruppo di Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali ha condotto tramite un questionario cui hanno risposto 1546 persone. I risultati saranno divulgati in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati mercoledì 30 ottobre alle 13, e poi diffusi anche tramite un ciclo di incontri pubblici, ma ci è stato possibile già consultarne una parte, insieme a significative testimonianze. Mi riconosci … è un’iniziativa che“nasce alla fine del 2015 dalla volontà di un gruppo di professionisti (o aspiranti tali) del mondo dei beni culturali (studenti e laureati, lavoratori e in cerca di occupazione) di cambiare la realtà lavorativa del settore”, come spiegano i promotori sul web. I dati naturalmente valgono sulla base delle risposte al questionario e in questo scenario vanno valutati.

Meno di 8 euro l’ora
Nella metà dei casi il lavoratore o la lavoratrice (spesso specializzato/a) guadagna meno di 8 euro l’ora. L’11,5% guadagna meno di 4 euro l’ora. Il 63% guadagna meno di 10 mila euro l’anno, che in molte zone significa vivere sotto la soglia di povertà. Il 38% guadagna meno di 5 mila euro annui, gravando perciò con buona probabilità sulla famiglia o su altri.

La metà ha il contratto nazionale, un quarto nessun contratto
Più della metà lavora con il contratto collettivo nazionale (CCNL), mentre il 25% del totale non ha nessun contratto. Un dato emerge dal questionario e viene spesso sottaciuto: il contratto che dovrebbe sempre essere applicato per “i dipendenti delle imprese dei servizi pubblici per la cultura, il turismo, lo sport e il tempo libero” (tramite cooperative, partecipate, fondazioni e comunque qualsiasi soggetto esterno alla pubblica amministrazione. quindi la maggior parte) è quello nazionale di Federculture, siglato esattamente vent’anni fa. Ma solo il 7% degli intervistati ha il contratto di Federculture. Quello più utilizzato è il Multiservizi (23%), persino per chi è specializzato e ha più titoli successivi alla laurea. Il dato dovrebbe far riflettere, perché quel contratto è rivolto a chi si occupa di mense scolastiche e pulizie.
Seguono il contratto del Commercio Terziario e Servizi (18,5%), quello delle Cooperative Sociali (14,7%), Turismo (5,7%), Edilizia (5,3%), Spettacolo (3%, ma sicuramente sottorappresentato perché il pubblico di Mi Riconosci? è composto prevalentemente da lavoratori del Patrimonio Culturale). Infine Servizi Ausiliari e Fiduciari (2,5%) e Metalmeccanici (1,6%). I Contratti collettivi Restauro e Federlegno sono applicati in pochissimi casi in questo campione, mentre il 16,6% degli intervistati lavora per la pubblica amministrazione con il contratto di categoria.

Gli attivisti chiedono una legge per tutelare i lavoratori
Chiedono gli attivisti di Mi Riconosci?: “A cosa serve aver creato un buon contratto collettivo nazionale se non lo si fa mai applicare? Perché non si promuove una legge che vincoli le realtà private che gestiscono patrimonio pubblico a non esternalizzare ulteriormente e ad applicare sempre il contratto nazionale corretto? Serve una legge che vieti abusi del lavoro gratuito, e una norma che obblighi i privati che gestiscono patrimonio culturale pubblico a ad applicare il contratto di Federculture”. Considerazioni che dovrebbero scuotere anche il pubblico, perché questo significa non avere sempre a disposizione le persone più preparate e che hanno studiato di più per occuparsi di tutela e promozione dei beni culturali.

Le testimonianze: “A causa del volontariato ho dovuto cercare un altro lavoro”
Le testimonianze raccolte spiegano in modo semplice la condizione quotidiana di questi lavoratori. Alcuni esempi: “Molto spesso i servizi museali sono esternalizzati ad associazioni di volontariato tramite piccoli contributi che non consentono assunzioni di nessun tipo, neanche a chiamata, e quindi si lavora a nero fingendo di fare volontariato e gli enti pubblici lo sanno benissimo!” e “Il volontariato nei musei mi ha obbligato a cercare un’altra occupazione in un settore che non mi appartiene.”
E ancora: “Dopo un anno di lavoro con ritenuta d’acconto presso un’associazione no profit, mi è stato chiesto di aprire la partita Iva al posto di farmi un contratto. Ho rifiutato e ora sono senza lavoro.” Oppure: “Contratto Multiservizi, stress da lavoro non indifferente e stipendio da fame.”

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