“In gioco c’è il mestiere di giornalista?” è il titolo del brano che vi proponiamo ed è un estratto dal libro di Maurizio Boldrini “Dalla carta alla rete e ritorno. Giornalismo e nuovi media”. Il volume (La Casa Usher editore, pp. 344, euro 22,00), descrive in modo approfondito, e quanto mai scorrevole, come è cambiato e come sta cambiando l’industria delle notizie con il web. Il saggio ha un approccio metodologico e di pensiero di fondo quanto mai necessario: niente apocalissi (le notizie via internet e dispositivi mobili non sono l’inferno in Terra), né esaltazioni acritiche (il rischio di bruciarsi è alto, se abbiamo a cuore la trasmissione di conoscenze sia per il nostro bene che per le democrazie e la libertà). Altri capitoli affrontano il declino della carta stampata così come possono trovare una vita una nuova vita i giornali, la tv, i blog, i social. Oppure come la professione del giornalista vada ripensata (e l’Ordine dei giornalisti oltre a chiunque faccia questo mestiere dovrebbe prestare attenzione, a queste pagine). Qui, come detto, trovate il paragrafo “In gioco c’è il mestiere di giornalista?” che prende di petto una questione cruciale: “Le macchine da scrivere sono diventate sculture d’altre epoche”. Con le nuove tecnologie chi, come e quale prezzo e con quali prospettive sopravvive il giornalista oggi. Chiudersi a riccio in un passato non serve né a se stessi né all’informazione. Occorre conoscere pertanto in quale universo ci muoviamo. E tenere alto il senso critico. Arricchiscono il libro contributi di vari autori. Boldrini (nessuna parentela con la donna politica) insegna Giornalismo e nuovi media e Pianificazione media all’università di Siena. Autore di vari libri, tra cui “Il libro della comunicazione” con Omar Calabrese del 1995, ha collaborato con molte testate regionali e nazionali tra cui piace segnalare l’Unità.
Maurizio Boldrini
La comunicazione e il giornalismo sono dunque nel cuore di questi cambiamenti: lo sono per il nuovo modo di lavorare e per il sistema produttivo che hanno indotto; lo sono per il modo di concepire il rapporto con i cittadini e, per i giornalisti, quello con i lettori che si è fatto più stretto, fino all’interattività. I media digitali hanno fatto compiere passi da gigante in questa direzione: «la comunicazione, qualunque sia la pertinenza scientifica scelta per utilizzarla, si caratterizza soprattutto per una tendenziale rincorsa alla parità di ruolo fra gli interlocutori. Affinché una manifestazione di interrelazione possa accedere al livello di una vera comunicazione, deve infatti rispondere ad alcune caratteristiche: a) forma aperta e bidirezionale (a volte pluridirezionale) dello scambio; b) possibilità di inversione dei ruoli fra emittente e destinatario; c) valorizzazione dell’attività partecipativa del destinatario anche nei casi in cui ricopra il semplice ruolo di ricettore; d) attenzione agli effetti dell’azione comunicativa; e) tendenziale disponibilità a considerare il rapporto di comunicazione come un’interazione paritetica e, quindi, come una forma di conversazione almeno potenziale. Queste considerazioni ci riportano al problema dell’interattività dei nuovi media».
L’introduzione delle nuove tecnologie ha comportato profonde trasformazioni in tutti i settori della vita, dall’insegnamento alla sanità, dalla difesa del patrimonio culturale al turismo. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Il giornalismo, a volte in modo del tutto inconsapevole, ha progressivamente incorporato nelle proprie routine l’uso delle nuove tecnologie informatiche.
Le macchine da scrivere sono diventate sculture d’altre epoche mentre, nelle redazioni, tutto gira attorno al computer, sempre più snello, sempre più raffinato e potente. Il redattore ha così fatto i conti non solo con la scrittura che, oggettivamente, è un po’cambiata ma con la video impaginazione e tutto ciò che ne consegue. Non si tratta solo della sostituzione di un vecchio strumento con uno nuovo e più funzionale: l’introduzione del computer ha provocato profonde trasformazioni in tutte le dimensioni della professione giornalistica dalla scrittura al rapporto con le fonti, dal tipo di competenze necessarie alla formazione professionale.
Il passaggio dalla fase di realizzazione di un articolo con la macchina da scrivere alla composizione con il computer ha profondamente trasformato lo stile della scrittura rendendola più sintetica, alleggerendo la forma, creando nuovi termini e linguaggi. È evidente come l’interazione con le nuove tecnologie abbia portato il giornalista a modificarsi, a diventare più eclettico e ad allargare le proprie competenze sconfinando in settori prima ignorati, quali la grafica e l’informatica.
All’introduzione del computer è seguito, quasi naturalmente, l’uso massiccio della navigazione in internet. Tale avvento ha investito il giornalismo da due prospettive differenti: da un lato internet ha ispirato e reso possibile la realizzazione di nuovi prodotti editoriali: i siti informativi e i quotidiani on line; dall’altro, l’evolversi della rete, dove si può trovare ogni tipo di documento ha consentito al giornalista, ma non solo, di avere a disposizione un giornale molto più grande di quello in cui lavora, dal quale attingere informazione: «nello sconfinato mondo self-service internet ognuno si serva da solo: c’è di tutto, da qualche parte, basta tirarlo fuori dalla miniera della rete. Pare facile».
Questa convergenza tra il digitale e la multimedialità favorisce anche la nascita di nuove professioni, i “confezionatori di informazione”, cioè nuove figure professionali come autori multimediali: logic designer, localizzatori, web master, info miners, content manager ecc., che rubano sfacciatamente la scena al vecchio giornalista, o operatore monomediale.
L’avvento di internet è una sfida per il giornalista. Diversi osservatori già prefigurano il passaggio all’iper-giornalismo. Tra questi Pulcini, il quale ci ricorda che l’Html rappresenta il definitivo distacco dalla materialità dei processi di stampa, già iniziata con l’utilizzo del computer in campo editoriale. La possibilità infatti di realizzare dei documenti “iper”, da diffondere tramite la rete, consente al giornalista di confezionare testi che oltre a essere letti saranno anche navigati e che nel mondo digitale il percorso di consultazione di un documento avviene in modo personalizzato e offre una possibilità di lettura ad albero. Così nasce l’iper-giornalista, il quale dovrebbe compiere il doppio sforzo: scrivere, pensare immediatamente ai concetti che vuole mettere in pagina ma anche a come essi dovranno apparire e potranno svilupparsi. Ciò incide profondamente nella preparazione di un articolo, di una pagina e di un giornale, in quanto l’iper-giornalista dedica meno impegno alla scrittura e al testo in se stesso, e molta più attenzione alla grafica e alle eventuali immagini da collocare sul video: «sul nuovo mezzo l’articolo può concentrare in poche righe la notizia e un archivio sulla materia di cui si parla costituito dai vari collegamenti ipertestuali, il tutto in un colpo solo e concentrato sulla schermata del computer».
La figura sociale del giornalista, come molte altre figure professionali, fa i conti con la rete e cambia, però non muore. La professione del giornalista, contrariamente a quanto sostenuto da molti, non è cambiata con l’avvento delle nuove tecnologie digitali. «Il giornalista – oggi più che mai – è un mediatore che seleziona e gerarchizza le notizie per tutti coloro che, facendo un altro lavoro, non hanno il tempo per scegliere tra i fatti che ogni giorno vengono riversati nel flusso mediatico cosa sia degno di essere portato in primo piano e cosa, invece, sia destinato a rimanere sommerso sotto l’impetuoso vortice delle informazioni […] Ciò che è cambiato profondamente […] è il modo di lavorare del giornalista. Le trasformazioni introdotte dai nuovi media stanno avendo sul giornalismo un impatto tale da averne già modificato molte pratiche e regole. L’accesso all’informazione globale, la convergenza tra telecomunicazioni, computer e media tradizionali avviata da internet, la velocizzazione del ciclo della notizia, oggi sempre più fruibile in tempo reale, la possibilità di disporre di contenuti multimediali su uno stesso supporto, la personalizzazione e l’ubiquità dell’informazione, che ormai ci accompagna sempre e ovunque grazie ai dispositivi wireless».
Il cambiamento del giornalismo italiano lo registra anche un libro di Sergio Splendore che ha il grande pregio di unire un’argomentata riflessione teorica sullo stato del giornalismo a una ricerca sul campo con interviste a coloro che percepiscono e vivono i profondi cambiamenti in atto, cioè i giornalisti. «Nel cambiamento del sistema dei media, nell’innovazione tecnologica, nella crisi economica dell’editoria, i giornalisti italiani hanno saputo adattare il proprio capitale giornalistico (inteso in senso bourdesiano come somma di capitale culturale, simbolico e sociale), lo hanno cambiato, modificato e arricchito a seconda delle posizioni che si sono trovato via via a ricoprire. Lo hanno fatto sicuramente i professionisti che si sono affacciati al campo negli anni più recenti, ma sono stati in gradi di farlo – magari con una certa riottosità iniziale – molti di coloro che già lo occupavano. Quel cambiamento di capitali e una diversa interpretazioni delle relazioni intessute dalla posizione raggiunta permettono loro di abbracciare valori e approcci professionali ritenuti consolidati nel giornalismo italiano». Non è solo un cambiamento passivo, quello che descrive il libro ma perlustra le forme nuove di questo nuovo modo vivere la professione.