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Le canzoni non raccontano più storie? Forse. Ma conviene ascoltare la musica giovane

Dopo i pareri di Guccini e Morgan sulle difficoltà dei cantautori d'oggi, i tanti pareri e i tanti gusti differenti in un viaggio che faremo fra i giovani della nostra redazione

Le canzoni non raccontano più storie? Forse. Ma conviene ascoltare la musica giovane
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9 Luglio 2021 - 09.53


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di Manuela Ballo

 

Canzoni senza cantautori, affermava Morgan, qualche tempo fa, riprendendo la polemica sollevata da Guccini sulla musica dei nostri giorni: priva di valori, di contenuti e incapace di raccontare, come un tempo, storie che stimolino passioni e lotte.
Perché Morgan, che di tutto può essere tacciato tranne che di conformismo, avrebbe espresso un giudizio così complesso sulla musica dei nostri giorni? L’ho riletto con attenzione e, su gran parte delle sue considerazioni, sono d’accordo.
Magari molti dei cantanti che praticano questi generi non lo saranno. Comprensibile. Così come una diversità di vedute mostreremo negli articoli che saranno pubblicati nei prossimi giorni e che faranno parte di una i discussione che coinvolge tutta la giovane redazione di Culture. Globalist.

 

Torno ai ragionamenti di Morgan. Sui Trapper avverte che “Hanno la forza della trasgressione, nelle loro canzoni c’è la lotta e la lotta nella canzone ci sta perfettamente, anche Guccini ce la metteva. Ma questa lotta è tenuta a bada, controllata, manipolata, posseduta dal sistema. Il sistema controlla la rivoluzione ma la rivoluzione deve sfuggire al controllo, mentre i trapper sono catturati, sono ribelli in cattività”. E sugli Indie il parere del cantautore è altrettanto perentorio: “In teoria i rappresentanti dell’Indie potrebbero parlare, ne hanno la possibilità, ma sono borghesi che fingono di essere ribelli, radical chic, producono musica che non ha valore morale, contenuto, lotta, parlano solo di stronzate, raccontano le loro seratine e i loro amorini, cavolate della vita borghese media. Sono travestiti da ribelli ma quando vanno a casa fanno i conti con le famiglie che gli dicono con chi si devono sposare”.

 

Ci sono, dunque, molti motivi per discutere partendo dalla radicalità dei giudizi espressi, anche perché qualcuno potrebbe aver equivocato gli interventi di Guccini e di Morgan vedendoci, magari, qualcosa che non c’era: una certa vena conservatrice e anche una qualche venatura di moralismo.

 

Mi chiedo, per esempio, cosa avrebbero detto i difensori della musica impegnata di allora, ascoltando le prime canzonette di un giovane Franco Battiato, nelle cui testi si intrecciavano ovvietà amorose a rime scontate in mezzo a tentativi di  creare nuove sonorità: Oscillava tra i canoni musicali tradizionali e le forme espressive che avrebbe poi abbracciato lungo il suo cammino. Forse  anche alcuni dei giovani d’ oggi cercano rime inappropriate e ripetono stancamente sonorità prive di melodie. E se fra qualche anno piacessero di più?

 

Le canzoni non devono essere belle, canta Jovanotti in uno dei suoi ultimi brani. Sarà vero? Credo che invece dovrebbero esserle, nei testi e nelle musiche e dovrebbero anche far ballare la gente o a sollazzarla con gli inevitabili tormentoni estivi o Sanremesi.
I grandi cantautori erano capaci di raccontare storie personali che però, per come lo facevano, assumevano un valore o generazionale o universale. Oggi, anche chi tenta nella musica di introdurre elementi cantautorali, sembra intento a far prevalere più i sentimenti stereotipati e quindi  sostanzialmente conformistici. 

Qualche esempio di quello che accadeva ieri? Pensiamo a Fabrizio de André, a Guccini o a De Gregori; pensiamo a come Dalla ci raccontava la storia di Anna e Marco, facendola diventare la storia di una generazione intera che viveva nelle periferie che sorgevano ai margini delle città.  Oppure pensiamo all’ universalità dei suoni e delle parole di Paolo Conte o al meticciato sonoro e imprevedibile di Capossela. Alcuni giovani di oggi ci provano, lo ripeto, ma a dire il vero in pochi ci riescono.

Cos’è cambiato allora? Forse il modo con cui si formano gli stessi artisti, le esperienze che sono alla base dei loro percorsi musicali. Forse ci sono troppi “Talent” e poche sale nelle quali provare a fare musica con gli amici, magari bevendosi un birrino. Come dice Morgan sembra che l’industria culturale sia così potente e onnivora da assorbire ogni forma spontanea e creativa.  

 

Il fatto che le tendenze e i generi di oggi possano piacere o meno è del tutto naturale dal momento che non tutto ciò che è nuovo può sopportare il peso della grandezza del passato e dei grandi che hanno contribuito a fare la storia della musica italiana. Forse pesa il fatto che tutto è diventato tremendamente mediatico, che tutto deve correre sui social, che tutto deve essere consumato rapidamente e in fretta.

Abbiamo un incredibile esempio sotto mano in cui i protagonisti legano il grande passato all’ invadenza del presente: Nelle ultime settimane sta imperversando un videoclip di un brano, in cui i protagonisti sono quanto di più tradizionale e per alcuni versi quanto di più innovativo dovrebbe esistere nella canzone dei nostri giorni: Orietta Berti, Achille Lauro e Fedez.
Hanno sfornano una canzoncina estiva, disimpegnata e priva di contenuti, ma ascoltata, cantata e vista da centinaia se non migliaia o milioni di persone, tra i quali moltissimi giovani. Perché questo successo? E ciò che vediamo non conferma forse ciò che hanno scritto Guccini e Morgan?

Orietta Berti proviene, come Raffaella Carrà, dalle esperienze delle balere emiliane, dai concerti nelle case del popolo o nelle parrocchie, dai tantissimi San Remo e dai Talk Show televisivi più smaliziati.
Dei tre è francamente la più moderna e non è un caso raro, pensiamo alle lezioni che, ancora, distribuisce a molti giovani cantanti una performer come Loredana Bertè. Allora discutiamone, ma senza preclusioni ideologiche e senza pretese di assolute verità: La musica ha segnato le stagioni e i passaggi della storia.

 

Questo sta accadendo anche oggi, anche se come sempre avviene, quando i processi non si manifestano apertamente e subito dovremmo essere capaci di appoggiare l’orecchio sulla superficie del suolo: sentiremmo così ciò che c’è di nuovo anche nella musica dell’ oggi che, spesso, ci sembra banale.

Oggi cos’ è cambiato? perché tutte queste critiche nei confronti dei cantanti della nuova scena musicale, perché bisogna sempre criticare ciò che è nuovo e aggiungerei sintomo di una nuova corrente generazionale che attraversa la società?
Spesso si fa fatica ad accettare i cambiamenti perché troppo attaccati ai canoni e alle abitudini di quel che è stato, forse ci si dimentica che, decennio dopo decennio, sono cambiati generi e tematiche dei cantanti, gusti e aspettative degli ascoltatori e di conseguenza la musica non la puoi fermare, non la puoi neppure contestare perché per essersi affermata, come nel caso dell’Indie o del Trap, vuol dire che colpisce, in ogni caso, le orecchie degli ascoltatori.  

 

È soprattutto questo che noi della redazione vogliamo trasmettere, il fatto che le tendenze e i generi possono piacere o meno così come colpire e il fatto che non tutto ciò che è  nuovo deve necessariamente portare il peso della grandezza del passato e dei grandi che hanno contribuito a fare la storia della musica di ieri. L’ oggi è l’ oggi, di certo non bisogna dimenticare gli insegnamenti del passato, ma come è accaduto anche col jazz e poi via via, c’ è sempre una spinta all’ evoluzione, che per molti può rappresentare anche un’ involuzione anche se infin dei conti  a deciderlo è spesso il gusto del pubblico.

De gustibus non disputandum, lo dimostrano le preferenze dei ragazzi della redazione che hanno scelto autori e musiche diversi gli uni dagli altri, lo dimostrano  i nomi scelti dalle ragazze e dai ragazzi della redazione: Pinguini tattici nucleari, Motta, Colapesce e Dimartino, BTS (la boy band sudcoreana dei Bangtan Boys), Calcutta, Jovanotti, Dua Lipa e Billie Eilish.

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