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Vittoria Franco: «Con l’emergenza siamo regrediti e noi donne tornate invisibili»

La filosofa e politica: «Le premier hanno pensato ai cittadini, leader come Trump o Johnson a una sfida personale. Persa. Ma in tv e nei centri di decisione prevalgono gli uomini»

Vittoria Franco: «Con l’emergenza siamo regrediti e noi donne tornate invisibili»
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16 Maggio 2020 - 12.54


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Perché in questi oltre due mesi di Coronavirus gli esperti nei media sono in gran maggioranza uomini rispetto alle donne? Più capacità? Non si raccontino fandonie. Perché la task-force governativa ha introdotto professioniste solo dopo piogge di commenti per l’assenza totale del contributo femminile? Conviene? Per chiarire tramite un paragone: se dovete farvi curare, o far curare una persona cara, dareste più chance a un uomo perché uomo sapendo che potreste avere una dottoressa più brava e affidabile del collega? Ne parla qui Vittoria Franco, filosofa, già senatrice dal 2001 al 2012 nelle fila dei Democratici di Sinistra, poi dell’Ulivo, infine del Pd per il quale era responsabile delle pari opportunità. Di origini calabresi (1949), la sua formazione e vita sono in Toscana dove, quando ha partecipato alla competizione elettorale, è sempre stata eletta e dove è stata ricercatrice alla Normale di Pisa: ha scritto saggi sull’etica, la bioetica e la procreazione assistita, sui diritti delle donne.

Anche durante l’emergenza per il Covid19 le figure per la parte tecnico-scientifica sono state in netta prevalenza sempre maschili.
Per fortuna anche in alcune trasmissioni tv compaiono scienziate come Ilaria Capua, che è intervenuta più volte con serietà e competenza. Prevalgono gli uomini perché dirigono i grandi centri di ricerca, raramente sono diretti da donne. Eppure le scienziate sono tante e, fatto importante, hanno dato un contributo reale durante il coronavirus: tra le prime équipe ad aver isolato il virus e a studiarlo nella sua essenza c’è un’équipe di donne.

La mentalità è cambiata poco?
Siamo regrediti. Ci vuole un gran coraggio per fare una task force tutta al maschile o con l’80% di uomini come quella presieduta da Colao. La sensibilità sulla rappresentanza femminile è cresciuta ma l’emergenza ha creato una regressione. Le donne sono tornate invisibili come se le emergenze giustificassero ogni cosa e facessero vedere in primo piano il maschilismo che in altri tempi va un pochino sotto tono. Le donne hanno competenze, sono state davvero al fronte se si usa una terminologia militare: sono in grandissima percentuale medici, infermiere e ci metto dentro anche commesse, farmaciste, cassiere nei supermercati … Sono state al fronte anche le donne costrette a stare in casa per le cure domestiche perché su di loro è pesata la responsabilità di tenere e di riorganizzare la vita quotidiana che non è routine, è nuova, è fatta di paure, di ansie. Come si fa a costituire una task force che ha la grande responsabilità di rilanciare il paese senza l’esperienza e le abilità organizzative femminili?

Viene da chiedere: non ci rimettiamo anche noi uomini? Perdiamo o rinunciamo a conoscenze, a competenze di cui c’è un gran bisogno.
Certo però nessuno molla facilmente il potere che è tradizionalmente maschile. C’è l’ebbrezza, la gioia, la passione del potere. Il fatto grave è che non si vuole accettare l’arricchimento della realtà. La possibilità di risolvere meglio i problemi è maggiore se si integrano i luoghi decisionali con le capacità multitasking delle donne che si occupano di casa, bambini, anziani, lavoro e fanno tante cose contemporaneamente mentre gli uomini non lo fanno mai fatto, e non hanno imparato, per la secolare divisione sociale dei compiti.

Paesi come la Nuova Zelanda, a guida femminile con Jacinda Ardern, hanno risposto più tempestivamente e con maggior efficacia all’emergenza del virus mentre le risposte più folli sono arrivate da leader uomini che forse si sentivano o credevano dei macho: pensiamo a Trump, a Bolsonaro.
Penserei anche ad altri Paesi diretti da leader femminili come l’Irlanda, la Danimarca, Taiwan: le donne hanno preso sul serio il problema, hanno visto subito il rischio, il loro obiettivo era il benessere dei cittadini, hanno prevalso serietà, concretezza e tempestività. Anche la Merkel ha saputo parlare al suo popolo. Per gli uomini invece è stata una sfida come se andassero personalmente in guerra con il virus e hanno sottovalutato il rischio: basta guardare Boris Johnson che ha invocato l’immunità di gregge e ha detto “perderete i vostri cari”. Qualcuno ha anche detto che le donne non sono fatte per la tecnologia, invece la premier finlandese Sanna Marin ha dato agli influencer il compito di parlare ai giovani che non leggono i giornali, che si sottraevano alle regole. Mi hanno sorpreso la premier danese Mette Frederiksen e la neozelandese: avendo capito da donne l’ansia che cresceva nelle famiglie hanno fatto un discorso diretto ai bambini, si sono rivolte a loro per rassicurarli. Gli uomini vivendo il virus come una sfida hanno sbagliato, hanno agito in ritardo o preso iniziative come Trump quando ha detto che ci si può curare dal Covid con la varichina

Eppure Giovanna Botteri è stata criticata a “Striscia la notizia” da Michelle Hunziker per il suo abbigliamento e pettinatura.
Si chiama “body shaming”: è grave che una donna si presti a criticare in quei termini una giornalista peraltro così brava ed efficace. Giovanna Botteri non ha contrattaccato, ha detto che la satira è una grandissima cosa, ci fa sorridere e ci fa riflettere e mandava alla trasmissione un grande abbraccio. Che stile. Quando la discussione si abbassa non c’è limite, lei lo ha alzato. Non è che tutte le donne sono buone e gli uomini cattivi ma le prime sono più istruite, sono il 60% dei laureati, quindi la società non si avvale di un gran patrimonio del sapere. Nel lavoro la parte femminile ha più ostacoli: è come una corsa in uno stadio dove le corsie per gli uomini sono libere, quelle per le donne hanno uno stendino, un bambino da accudire, vengono bloccate in partenza. Qui è il vero problema: come riorganizziamo la società? E con la ripartenza?

Nella foto una scena da “Il diritto di contare”, film ispirato al contributo decisivo di tre matematiche, nere, della Nasa alla corsa nello spazio: è sul razzismo e anche sulle scienziate in un ambiente a prevalenza nettamente maschile

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