“Vite a perdere” sul traffico di organi: quando il corpo è merce | Culture
Top

“Vite a perdere” sul traffico di organi: quando il corpo è merce

Un saggio di Franca Porciani e Patrizia Borsellino inquadra commerci disumani per povertà ed esplora l’etica delle donazioni

“Vite a perdere” sul traffico di organi: quando il corpo è merce
Preroll

redazione Modifica articolo

26 Novembre 2019 - 09.39


ATF

Michele Saporiti

Un giro d’affari di 1,5 miliardi di dollari, con guadagni fino a 100mila dollari per i chirurghi, fino a 10mila per i broker e tra i 3mila e i 15mila per i donatori, senza considerare i terribili e frequenti episodi di autentica predazione. Questi sono solo alcuni dati del mondo che ruota attorno al traffico d’organi. Di questo tema e del ruolo che le migrazioni di massa stanno avendo nell’apertura di una sua nuova fase di sviluppo parlano Franca Porciani e Patrizia Borsellino in Vite a perdere, edito da FrancoAngeli (pp. 144, € 19).

Il panorama tratteggiato da Franca Porciani lascia a dir poco interdetti. Dall’Asia all’America, dall’Africa sino ad arrivare al nostro Vecchio Continente, Porciani descrive un universo non poi così parallelo, nel quale il corpo umano è merce che si sfrutta e si vende a caro prezzo, nonché mezzo di sostentamento per sopravvivere alla miseria estrema.

Leggendo, scopriamo allora che non solo in Iran vi è un “singolare” sistema di Stato per il mercato d’organi, ma che in Cina i condannati a morte sono stati per lungo tempo considerati vere e proprie fonti di approvvigionamento. In questo quadro a tinte fosche, non è difficile immaginare quale sia la sorte dei più vulnerabili tra i soggetti che sono vittima di brutali predazioni: i bambini, che in diverse parti del mondo continuano a sparire senza lasciare traccia, e i minori non accompagnati che, giunti sul suolo europeo, scompaiono senza che nessuno riesca più a ritrovarli.

Ma quali sono i problemi da affrontare, prima di tutto sul piano etico, quando occorre reperire una “risorsa preziosa e scarsa” come gli organi? E in che modo gli Stati e la Comunità internazionale hanno cercato di intervenire? Patrizia Borsellino ci aiuta a rispondere a queste complesse questioni, mettendo in luce criteri e strumenti giuridici concepiti per impedire che situazioni di povertà, disperazione o vulnerabilità estrema divengano il contesto ideale per violare la dignità degli individui attraverso atti di disposizione del proprio corpo.
Al centro, come ci ricorda Borsellino, vi è un obiettivo importante, anzi imprescindibile: sconfiggere o almeno ridurre drasticamente la povertà come mezzo per riconoscere “a tutti, e non solo ad alcuni, il diritto a una vita vissuta il più possibile in salute”.

Vite a perdere è quindi un lavoro coraggioso e scomodo. Coraggioso, perché va a toccare interessi economici mastodontici e pericolosi, dai quali molti si tengono vilmente alla larga. Scomodo, perché risveglia dal suo comodo torpore una capacità che sembra essersi progressivamente atrofizzata in questi anni: la capacità di indignarsi. Sono proprio il coraggio e la scomodità di questo libro ad aiutarci a comprendere le mostruose conseguenze della povertà e della miseria imperanti ai confini del nostro benessere.

Native

Articoli correlati