di Salma Aiche
Scontro in aula durante l’esame in aula degli emendamenti al ddl sul consenso informato, tenutosi lo scorso mercoledì, quando il ministro Valditara ha replicato duramente alle opposizioni: «Sono indignato che abbiate detto che questa legge impedisce la lotta contro i femminicidi e scoraggia la lotta alla violenza di genere. Voi lo avete detto, vergognatevi. Tutto questo non c’è nella legge», ha dichiarato, innescando subito la protesta dei gruppi parlamentari di Pd, Avs e M5S.
La tensione è salita rapidamente: i deputati dell’opposizione, al grido di «Valditara, chieda scusa», hanno avanzato richiesta di convocazione di una conferenza dei capigruppo, sostenendo che il ministro avesse creato una frattura tra Parlamento e governo. La seduta è stata quindi sospesa, mentre la deputata Simona Bonafé (dem) definiva «gravissimo» quanto accaduto. Secondo Bonafé, Valditara sarebbe intervenuto «dopo due giorni di dibattito», trasformando il suo intervento in «un comizio offensivo» per poi allontanarsi dall’aula. Una scelta che, a suo avviso, avrebbe bloccato di fatto l’avanzamento del voto sul provvedimento.
Della stessa idea é Marco Grimaldi (Alleanza Verdi-Sinistra), che ha chiesto di sospendere l’esame «fino a quando Valditara non si scusa», mentre, Andrea Quartini (M5S) ha affermato che «non ci sono le condizioni per proseguire».
Prima di lasciare l’aula, Valditara ha chiarito che le sue erano «affermazioni politiche» e non personali. Ha ribadito che il ddl «non indebolisce la lotta contro i femminicidi» e che il confronto dovrebbe svolgersi senza eccessi polemici, sottolineando come la legge confermi «l’importanza dell’educazione contro la violenza di genere». Ha aggiunto inoltre che, se qualcuno si fosse sentito offeso, «gli dispiace».
Le opposizioni, però, non hanno ritenuto sufficienti le sue precisazioni. Bruno Tabacci (Pd) ha affermato di essersi «sentito offeso personalmente» e ha lamentato il peggioramento del linguaggio parlamentare rispetto ai tempi di Moro, Berlinguer e Almirante, parlando di una «chiara retrocessione» nel livello del dibattito politico.