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Non solo sofferenza ma anche tanto inquinamento. Purtroppo (quasi) nessuno ne parla

Oltre a quelli umani le guerre comportano anche ingenti costi ambientali. Un tema poco discusso che nella migliore delle ipotesi passa in secondo piano. Ecco qualche dato.

Non solo sofferenza ma anche tanto inquinamento. Purtroppo (quasi) nessuno ne parla
Mohammed Abed/AFP - Un bambino che osserva i rifiuti prodotti dal campo rifugiati di Bureij in Palestina
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Agostino Forgione Modifica articolo

6 Ottobre 2025 - 15.25


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Dall’1 al 5%. Secondo l’ente britannico Scientists for Global Responsibility e il Conflict and Environment Observatory addirittura il 5,5%. Nessuno sa di preciso a quanto ammontino, ma le attività militari sono responsabili di una non trascurabile fetta di emissioni dei gas serra, senza contare le altre forme di inquinamento. Per tracciare un raffronto si tenga presente che nel 2016 il trasporto di beni e merci a livello globale è stato responsabile dell’emissione dell’1,7% dei gas serra. Un’opacità dovuta all’inesistenza di alcun report ufficiale che ne quantifichi l’impatto: nessuna convenzione, come ad esempio quella di Kioto o di Parigi, vincola gli stati firmatari a fornire dati in merito. Ciononostante esiste una nutrita letteratura scientifica che evidenzia e mette in guardia dalle nefaste conseguenze ambientali causate da guerre e conflitti. Un tema tuttavia quasi per nulla trattato, soprattutto sulle testate nostrane, che per lo più si occupano di raccontare gli aspetti umanitari. Ecco qualche numero a riguardo.  

Un report diffuso dalle Nazioni Unite a seguito dello scoppio dei conflitti ucraino e palestinese indaga sugli effetti ambientali che questi hanno causato. In Ucraina il largo uso di mine antiuomo e la presenza di svariati ordigni inesplosi fanno sì che esista il serio rischio di contaminazione per larghe porzioni di terra. È difficile stimare a quanto ammontino i costi di bonifica, ma si ipotizza raggiungano i 34,6 miliardi di dollari. Lo stesso documento evidenzia poi come a Gaza il terreno e le falde acquifere siano completamente degradati, oltre ai sistemi di gestione delle acque reflue e dei rifiuti solidi che sono collassati. Il risultato di tutto ciò? Solo nei tre mesi a seguito dello scoppio del conflitto L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha registrato 179mila casi di infezioni respiratorie acute e più di 136mila casi di dissenteria tra i bambini con età inferiore ai 5 anni. Un indicatore manifesto dell’impatto causato dalla distruzione di tali infrastrutture pubbliche primarie.

Uno studio pubblicato su Sage Journals analizza come cambi l’indice EPI – un valore che classifica e confronta le prestazioni ambientali di 180 paesi nel mondo – delle nazioni che affrontano o hanno recentemente affrontato un conflitto. I risultati dimostrano che gli effetti avversi non sono solo immediati ma soprattutto a lungo termine. Nello specifico occorrono dai 20 ai 30 anni prima che l’indice ritorni a livelli normali. Gli effetti negativi del cambiamento climatico, inoltre, possono aggravare ulteriormente i danni ambientali causati dalle guerre passate. Ciò comporta che l’aumento dello stress ambientale a cui la popolazione è sottoposta si riverberi sulla pressione sociale, favorendo lo scoppio di nuovi conflitti. Un circolo vizioso di cui in pochi ancora parlano.  

Uno studio pubblicato su Nature fornisce qualche altro dato interessante. Un caccia F-35 che vola per 100 miglia nautiche (185 km) emette circa 2,3 tonnellate di CO2 equivalente, pari a quella prodotta da un’auto endotermica media in 12 mesi. Ogni anno, dunque, la sola combustione di carburante per jet dell’esercito statunitense inquina quanto sei milioni di autovetture. Il consumo pro-capite di combustile e la conseguente emissione di CO2 delle forze armate americane e inglesi è poi svariate volte quello ascrivibile a un cittadino di una delle nazioni che ne bruciano di più. A un militare americano è imputabile l’emissione di 42 tonnellate di CO2 equivalente contro le 7 di un civile cinese o le 6 di un europeo.

Altro aspetto da non sottovalutare sono i costi ambientali legati alla ricostruzione. La sola produzione di cemento è infatti una delle attività industriali più inquinanti, responsabile del ben 3% delle emissioni di gas serra. L’auspicio è che quelli qui brevemente illustrati diventino temi preminenti nel corso dell’imminente 30esima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che si terrà Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025. Far finta di niente è ormai impossibile.

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