di Margherita Degani
Sono numerosi e molto conosciuti i versi che permettono di entrare nell’universo di Giuseppe Ungaretti, uno dei poeti più celebri e rappresentativi del Novecento. Autore capace di rinnovare la poesia del suo Secolo, ha scavato con delicatezza ed efficacia nel dolore e nella meraviglia dell’essere umano. Ma chi era davvero l’uomo dietro queste parole, spesso sospese tra morte e rinascita? E’ infatti importante rileggere e considerare le parole di studiosi, scrittori e conoscenti per ricostruirne un fedele ritratto. Figura estremamente sfaccettata, non fu solo – e non deve essere solo visto come- uomo letterario, ma soprattutto presenza viva, inquieta e profondamente umana.
Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da genitori lucchesi emigrati per lavoro, Ungaretti cresce in una comunità multiculturale, che influenza profondamente la sua sensibilità poetica tra deserti e letture francesi. “Il suo primo amore letterario fu Baudelaire,” ci racconta il professor Massimo Venturi, docente di Letteratura Italiana alla Sapienza, “ma in Egitto si percepisce già il suo essere sradicato: è italiano, ma nato altrove; è un europeo, ma cresciuto in una terra araba. Questo senso di spaesamento sarà il cuore pulsante della sua poetica.” E’ poi la volta di Parigi, dove negli anni Dieci frequenta le Avanguardie artistiche e letterarie dell’epoca -tra le cui personalità spiccano Apollinaire, Modigliani e Picasso- che plasmano la sua visione artistica, preparando il salto poetico successivo, che si è in gran parte verificato durante gli anni della guerra. Nemmeno lui può sfuggire infatti alla Storia dei grandi eventi e, ben presto, lo scoppio WWI travolge anche la sua vita, assieme a quella di molti altri che lui per primo ricorderà nelle sue poesie. Si arruola come volontario e viene mandato sul fronte del Carso. Proprio in questo contesto nasce Il porto sepolto (1916), pubblicato per la prima volta a Udine nel 1916; la raccolta segna una vera e propria svolta nella poesia italiana. I versi si fanno frammentari, sospiri e gesti essenziali carichi di emozione e riflessione esistenziale, dove la guerra non è solo tema, ma anche forma. I testi si riducono all’osso, come la vita in trincea. “Non c’è enfasi, non c’è retorica. C’è un uomo che guarda la morte in faccia e cerca, con le parole, di restare vivo”, osserva la poetessa contemporanea Mariangela Gualtieri. Sarà del resto lo stesso autore, molti anni più tardi, ad affermare in un’intervista che “in trincea non si scrive per letteratura, si scrive per sopravvivere. Ogni parola era una preghiera.”
Dopo questi tragici eventi, Ungaretti continua a dedicarsi alla scrittura, attività che non lascerà mai, mentre intraprende la carriera dell’insegnamento. Al nuovo cambio di venti, si avvicina inizialmente anche al Fascismo, sebbene si tratti di un’adesione alquanto controversa e spesso spiegata alla luce di un’adesione culturale, non ideologica. Nonostante quella che da molti era stata considerata una macchia morale, nel dopoguerra ottiene riscatto e, con questo, anche una cattedra presso l’Università di Roma, diventando inevitabilmente un riferimento per intere generazioni di studenti ed intellettuali. A questo punto della sua vita, dopo molte esperienze, la sua poesia cambia, come spesso accade a seguito di una evoluzione personale e si fa, inoltre, più matura- è questo il caso di Sentimento del Tempo (1933)- a tratti anche metafisica e più religiosa. Pensiamo alla raccolta Il dolore, scritta dopo la morte del figlio Antonietto avvenuta nel 1939, o a La terra promessa (1950) ed Il taccuino del vecchio (1960). Merita infine una menzione anche Vita d’un uomo (1969), la sua opera omnia nonché testamento spirituale e poetico, pubblicata un anno prima della sua morte, è infatti uno dei rari casi, particolarmente significativi, in cui una così ampia organizzazione del lavoro di un autore avviene prima della scomparsa dello stesso.
Ad ormai più di 50 anni dalla sua morte, il 1º giugno 1970, Ungaretti continua a trasmettere emozioni, stimolare curiosità e desiderio di conoscenza della sua Opera. Forse perché, come afferma lo scrittore Paolo Cognetti, “è il poeta dell’essenziale e, in un mondo di rumore, insegna il valore del silenzio”. La sua poesia, tanto quanto la sua vita sono il tentativo di dare senso alla perdita e al cambiamento. Letterato, soldato e maestro, resta prima di tutto un uomo capace di credere che perfino nella notte più buia una parola, se vera, possa ancora far luce.