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Guido Rossa: memoria e riflessioni

Il 24 gennaio 1979 l'assassinio spezzò l’illusione, presente in alcuni ambienti, che il terrorismo potesse avere un rapporto con le lotte sociali. Oggi si rischia di confondere le proteste democratiche con una presunta minaccia alla sicurezza nazionale

Guido Rossa: memoria e riflessioni
Sandro Pertini rende onore alla salma di Guido Rossa
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24 Gennaio 2025 - 16.27


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di Marcello Cecconi

Il 24 gennaio 1979 segna una delle ferite più dolorose nella storia della Prima Repubblica: l’omicidio di Guido Rossa, sindacalista e operaio, ucciso dalle Brigate Rosse. Quel delitto rappresentò un punto di svolta, non solo nella lotta al terrorismo, ma anche nella coscienza collettiva della classe operaia e del Paese intero. L’assassinio di Rossa da parte delle Br spezzò l’illusione, presente in alcuni ambienti, che il terrorismo potesse avere una giustificazione o un rapporto con le lotte sociali.

La risposta dello Stato e della società civile fu decisa: il Presidente Sandro Pertini, in un gesto di straordinaria empatia politica e umana, quando arrivò a Genova per il funerale di Guido Rossa, tra le reticenze delle autorità locali volle andare direttamente al porto per rivolgersi a quei lavoratori che nutrivano una certa neutralità nei confronti delle Br. “Non sono qui come presidente, ma come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate Rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai’” disse, distinguendo la Resistenza antifascista dai brigatisti. Parole che scossero le coscienze e resero evidente l’isolamento morale dei terroristi.

L’omicidio di Rossa portò anche il Partito Comunista Italiano, guidato da Enrico Berlinguer, a rafforzare il suo messaggio contro ogni forma di violenza eversiva. Il Pci, impegnato in quegli anni nella strategia del “compromesso storico” col sostegno esterno al governo Andreotti, chiarì in modo inequivocabile che il terrorismo non poteva contare su alcuna forma di tolleranza o neutralità. Questa presa di posizione sancì una nuova consapevolezza nella classe operaia: gli attacchi terroristici, anche quando colpivano dirigenti d’azienda, miravano in realtà a isolare e indebolire il mondo del lavoro, minando le libertà conquistate con il sacrificio di tante generazioni.

Oggi, l’Italia si trova in uno scenario molto diverso, ma non privo di tensioni sociali e conflitti culturali. Il governo Meloni, sostenuto da una coalizione di destra-centro, ha adottato misure come i cosiddetti “decreti sicurezza” pubblicizzati incessantemente dal ministro “influencer” Salvini. Questi mrano a restringere il diritto di manifestazione e a criminalizzare diverse forme di dissenso, dalle proteste studentesche alle azioni di disobbedienza civile degli attivisti ambientali. Una strategia politica che cerca di equiparare movimenti di contestazione democratica a minacce eversive, riportando alla mente i tentativi, negli anni di piombo, di accomunare indistintamente il dissenso al pericolo sovversivo.

Paragonare gli atti di protesta pacifica, come i blocchi stradali degli attivisti climatici, a forme di violenza politica come sta facendo la maggioranza di governo, solleva interrogativi sulla libertà di espressione e sulla tenuta democratica del Paese. E farlo mentre si libera, e in tutta fretta si riconsegna alla sua città libica in festa, Osema Almasri generale capo della milizia libica torturatrice del lager di Mitiga, infischiandosene del mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale, ne solleva ancor di più di interrogativi.

Non meno significativo è l’atteggiamento del governo nei confronti dei sindacati: figure come Maurizio Landini, leader della CGIL, vengono criticate per aver sollecitato una “attenzione sociale” nei confronti delle politiche governative accusate di mettere a rischio diritti fondamentali conquistati nel corso di decenni.

Due tempi e due prospettive diverse, ma se negli anni di piombo lo Stato e i partiti democratici hanno saputo distinguere chiaramente tra lotta politica legittima e terrorismo, oggi si rischia di confondere le proteste democratiche con una presunta minaccia alla sicurezza nazionale. Il rischio è quello di indebolire la qualità del dibattito pubblico ed erodere la fiducia nelle istituzioni, rendendo più difficile affrontare le vere sfide sociali ed economiche del nostro tempo.

La memoria di Guido Rossa e il coraggio di Sandro Pertini ci ricordano che la democrazia è una conquista fragile, che richiede impegno costante per essere difesa e rafforzata.

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