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Khomeini, ovvero i 45 anni di una repubblica "teocratica"

Tornò da Parigi nel tripudio, il primo febbraio del 1979, per dar vita all’esperimento di una repubblica che si regge sulla sharia. L'Iran, dall'angolo dov'è, vede adesso la possibilità di riavere un ruolo importante nel conflitto israelo-palestinese.

Khomeini, ovvero i 45 anni di una repubblica "teocratica"
Il ritorno a Teheran di Khomeini il 1 febbraio 1979
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Marcello Cecconi Modifica articolo

31 Gennaio 2024 - 19.12


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Quello che accade nel Mar Rosso, ancora una volta, fa preoccupare perché ha una ripercussione diretta sul nostro quotidiano. Condiziona l’umore alimentando compassione, rabbia, impotenza e tifoseria di parte, ma svuota concretamente le nostre tasche con l’impatto sull’inflazione. Molte sono le concause dell’attuale guerra in Medio-Oriente ma, senza dubbio, oggi ci portano a fare i conti anche con la repubblica teocratica dell’Iran che direttamente o indirettamente ci mette i suoi artigli. Tutto ebbe inizio quando l’esiliato Ruhollah Khomeini, il 1 febbraio 1979, tornò in patria.

Ricostruiamo quello storico passaggio. La monarchia iraniana, da decenni in difficoltà nel ricercare una via capitalistica alla modernizzazione attraverso la “Rivoluzione bianca”, si stava inimicando il clero sciita. Lo scià, Mohammad Reza Pahlavi, che pure aveva avuto l’appoggio delle gerarchie sciite in alcuni complicati passaggi istituzionali dei primi anni ’50, entrò sempre più in collisione con il potere religioso.

Lo scià provò a fare una riforma agraria; obbligò le donne a togliersi il velo; concesse loro il voto e l’ingresso alle università di Teheran senza però toccare mai i privilegi maschili; sostenne le scuole laiche senza mai vietare le madrase. Una politica cerchiobottista che incise superficialmente sulla qualità di vita della massa e che, semmai, andò solo a beneficio delle classi più agiate, dell’esercito e della stessa monarchia.

La confusa modernizzazione non migliorò la situazione di povertà della maggioranza dei cittadini che, cavalcata dal clero, portò a proteste e sommosse che furono brutalmente domate dall’esercito. Anche Khomeini partecipò opponendosi in particolare alla riforma agraria che toccava gli interessi del clero iraniano e all’introduzione del diritto di voto alle donne. Quando a giugno del 1963, in diverse città, si formarono cortei con duri scontri che portarono all’arresto dei leader religiosi contrari al regime, anche Khomeini, studioso sciita che insegnava filosofia islamica nella città santa di Qom, fu arrestato.

A novembre dell’anno dopo fu condannato all’esilio in Turchia e rapidamente estradato nella città sciita di Nadschaf, in Iraq, ma Saddam Hussein, nel 1978, quando capì che da lì stava accendendo la rivoluzione nella confinante monarchia di Reza Pahlavi, lo cacciò. Khomeini, infatti, da un paio di anni stava infiammando le città iraniane con i suoi discorsi, gli ultimi dei quali registrati in audiocassette a Parigi dove aveva trovato rifugio dopo la cacciata dall’Iraq.

Il primo di febbraio di quarantacinque anni fa, dunque, il ritorno dell’Ayatollah a Teheran, accolto come l’eroe che coronava la rivoluzione di ispirazione nazional-liberale e marxista, oltre che religiosa, che seppe carismaticamente unificare nella sua figura. Il mese dopo il 98% degli iraniani votò per la Repubblica che sin da subito aggiustò le esigenze che si presentavano all’élite rivoluzionaria: dimostrare di governare in maniera diversa dalla monarchia e garantire il controllo della classe religiosa.

La Repubblica Islamica iraniana ha in sé elementi di governo repubblicano e elementi di governo islamico rappresentando un esperimento politico quasi unico nel suo genere, o per lo meno, il primo. Un esperimento entrato in difficoltà, dopo i primi anni di giubilo, e tenuto in vita con la legge della sharia che i «guardiani della rivoluzione islamica», proteggono, con tutta la violenza necessaria, dalle domande sempre più pressanti delle nuove generazioni che rivendicano libertà elementari che si scontrano con steccati innalzati in nome della religione.

Le proteste del 2019-2020 che hanno coinvolto molte città dell’Iran e che hanno preceduto quella del 2022 seguita alla morte di Mahsa Amini, hanno ancora di più isolato la dittatura oscurantista guidata dal successore di Khomeini, l’Ayatollah Ali Khamenei. L’Iran è ora una leonessa ferita che racchiusa nella propria tana lancia ruggiti antisionisti lasciando agli Hezbollah, figli legittimi, la responsabilità di mostrare gli artigli su quel Mar Rosso che torna ancora una volta a turbare le nostre giornate.  

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