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Se il Natale diventa una saga del consumismo

Quando questa festa smette di illuminare le coscienze, per consumare solo il lusso.

Se il Natale diventa una saga del consumismo
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20 Dicembre 2023 - 17.34


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di Margherita Degani

Poche settimane fa Zara lancia la campagna pubblicitaria della collezione The Jacket, che ha come protagonista la modella Kristen McMenamy, circondata da manichini e bizzarri oggetti di scena avvolti in buste bianche. Subito scoppiano polemiche e sabotaggi, dal momento che molti vi vedono un riferimento ai morti di Gaza tra i sudari. Nonostante la smentita da parte del marchio ed il ritiro della campagna, c’è da dire che non si tratta della prima accusa nei confronti della catena di abbigliamento. Qualche giorno dopo, inoltre, assistiamo al triste sfruttamento della condizione di malattia infantile a scopi di lucro da parte dei ben noti Balocco e Ferragni, seguiti a loro volta da sentite scuse e video di ritrattazione. Nè mancano banner pubblicitari di firme e costosi profumi a circondare le tragiche scene di quello che invece accade nel mondo: crudeli assassinii, morti e conflitti,  infermità, instabilità politiche e criticità economiche sempre maggiori non sono sufficienti a frenare un meccanismo di vendita e guadagni che non guarda più in faccia nessuno. Un’insensibile ed anestetizzata corsa agli acquisti. Ormai il nostro Natale, svuotato di tutto il suo reale significato,  sembra essere ridotto solo a questo.

Derivato da consumare, affonda le sue origini nei due termini latini consumere (cum + sumere) e consummare (cum + summa), nei rispettivi significati di “distruggere” o “ridurre a nulla” e di “dare perfezionamento, compimento”. Il primo a parlare di Consumo vistoso fu Thorstein Veblen nel 1899, per indicare la spinta ad acquistare beni legati ad uno status sociale agiato, invece che al valore intrinseco. Da questo momento in poi, il termine Consumismo ha assunto sempre maggior importanza e diffusione.

Alcuni critici sostengono che già il Colonialismo, con il suo afflusso di merci esotiche e l’aumento delle importazioni, avesse favorito questo fenomeno, in seguito accentuatosi con la Rivoluzione Industriale e, ancora di più, grazie alla standardizzazione della produzione ad opera di Ford e Taylor. Nasce così un consumo di massa che accresce la produttività e abbassa i costi delle merci in tutto il mondo. Se infatti all’inizio del XX sec. l’80-90% del proprio reddito è speso per beni di prima necessità, durante gli anni Cinquanta e Sessanta, l’Occidente attraversa un periodo di espansione economica che porta ad una prosperità fino ad allora sconosciuta. E’ inutile negare che lo stesso Piano Marshall e la diffusione pervasiva dell’American way of life – attraverso i film di Hollywood, la musica, radio e televisione…- abbiano contribuito alla formazione di una comunità sostanzialmente omogenea di consumatori, frutto di una società democratica e fortemente individualistica, sì stratificata, ma anche incentrata su uno stabile ceto medio. Il mantenimento di un tale sistema, però, richiede una continua espansione della domanda, che proprio per questo inizia ad essere indotta nei cittadini attraverso la pubblicità, la possibilità di rateizzazioni e diversi strumenti di credito.

Come possiamo riassumere le caratteristiche ed i presupposti di una struttura socio-economica tanto radicata? Due pilastri, inevitabilmente intrecciati, sono produzione e consumo, da porre alla base di un meccanismo circolare che produce beni per soddisfare bisogni e, contemporaneamente, bisogni per incontrare le necessità della produzione di merci. Ma si può parlare anche di una vera e propria distruzione, quando la corrosione degli oggetti non corrisponde alla loro fine, bensì diventa il fine ultimo degli stessi. Emerge poi un’importante componente di emulazione – diventata fondamentale soprattutto nel XXI sec.- che spinge i regolari consumatori ad imitare chi, in un’ipotetica scala gerarchica sociale, è al di sopra. Come spiega Umberto Galimberti, celebre filosofo e psicoanalista, ormai il consumismo è un vero e proprio vizio, perché “crea in noi una mentalità a tal punto nichilista da farci ritenere che solo adottando il principio del consumo e della distruzione degli oggetti, possiamo garantirci identità, status, benessere ed esercizio della libertà”. Eppure, soprattutto in merito all’ultimo punto, non è affatto così. Da Marx ai sociologi della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse, Fromm), molti sono stati i detrattori e molte le condanne a carico del fenomeno qui trattato, capace di creare solo una superficiale ed illusoria uguaglianza tra classi. Non mancano le acute riflessioni di Pier Paolo Pasolini, anticipatore di tendenze oggi rintracciabili ovunque, a sottolineare due aspetti tanto terribili quanto interessanti. Da un lato individua una concezione edonistica che promette piacere immediato ed è funzionale agli interessi dei poteri che ricercano profitto; questa, tuttavia, realizza uno Sviluppo – inteso come ampliamento della produzione materialeche non coincide affatto con il Progresso. Dall’altro, soprattutto nei giovani, assiste ad una modificazione di sentimenti, di modalità di pensiero e di modelli culturali che, pur promettendola, non portano alla felicità, bensì ad un impoverimento e ad una tristezza di fondo che non di rado scoppiano in violenza. Un’aggressività che forse sarebbe difficilmente collocabile in un mondo meno edonista e individualistico.

Ed è proprio nella realtà descritta brevemente da questi scorci che credo si possa individuare perfettamente ciò che viviamo: un acquisto indiscriminato, esasperato e quasi sempre indotto di beni che sono in realtà fittizi, che soddisfano tutto ciò che è secondario e frutto di vanità, invece di soffermarsi su quello che potrebbe arricchire animi e coscienze. E’ difficile che un uomo privo di rispetto ed abituato a trattare ogni cosa come fosse da dissipare, provi a comportarsi virtuosamente con le altre persone. Dobbiamo quindi convenire con Gunther Anders quando dice che “l’umanità che tratta il mondo come un mondo da buttare via, tratta anche sé stessa come un’umanità da buttare via” e, purtroppo, i riscontri attorno a noi sembrano proprio confermarlo.

Immaginiamo invece di spegnere per un attimo tutte le luci che ci abbagliano, di mettere in pausa tutti i rumori dei dispositivi che ci confondono, di lasciare da parte la smania per i regali che vorremmo o che ci immaginiamo di ricevere … e di aprire bene gli occhi, sgranandoli, per capire davvero quello che ci accade attorno ed interiorizzarlo, riflettendoci. Magari ognuno di noi potrebbe fare anche solo un piccolo gesto, per ricordare – in primis a sé stesso – che non esiste solo il consumo. Dietro c’è ancora la vita, con tutti i suoi scenari di sofferenza, ma anche con la più autentica bellezza. Forse così le persone ricomincerebbero a splendere. Regaliamoci la possibilità di crederlo. 

“È Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti”, scriveva Bukowski, “Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese”.

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