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Omosessualità vietata: con Putin la letteratura greco-romana può diventare un tabù

La Duma approva l'ennesima legge omofoba cancellando un diritto fondamentale. Quale il destino dell'arte e della cultura? E che ne sarebbe di quella greco-romana in quella che si definisce la Terza Roma?

Omosessualità vietata: con Putin la letteratura greco-romana può diventare un tabù
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

21 Marzo 2024 - 01.40 Globalist.it


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La Duma, Camera bassa del parlamento russo, ha approvato una legge che comminerà pesanti multe a chi ponga in essere un’azione o un’informazione, in pubblico, online, nei film o nella pubblicità, considerata come un tentativo di promuovere l’omosessualità, e proibirà qualunque dimostrazione di “comportamento Lgbt” nei confronti dei minorenni. Si proibisce la “propaganda gay” non solo tra i minorenni (provvedimento già in vigore dal 2013), ma anche tra gli adulti, cancellando di fatto ogni discussione sulla possibilità di uno stile di vita Lgbt, di parità sociale di relazioni “diverse”, dunque imponendo coercitivamente un virtuale concetto di famiglia “tradizionale”. In pratica, il testo normativo estende all’intera società russa il divieto anche solo di nominare i “rapporti sessuali non tradizionali”, e di propaganda “di ogni relazione che non attiene in modo stretto all’eterosessualità”. La legge dovrà passare il vaglio della Camera superiore ed essere firmata da Vladimir Putin, ma considerando l’aria che tira le probabilità che ciò non accada sono ben scarse: l’approvazione è avvenuta all’unanimità, 411 a favore, nessuno contrario.

“La presunta cultura gay e Lgbt è uno strumento nella guerra ibrida contro il nostro paese e noi abbiamo il compito di proteggere la nostra società” ha tuonato il relatore Khinsthein, inquietante eco delle parole pronunciate in un sermone dall’arcivescovo Cirillo I, sedicesimo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, pochi giorni dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, durante la Domenica del Perdono (non sfuggirà l’involontaria ironia): “Ci troviamo in una guerra che ha assunto un significato metafisico. Le parate dei gay dimostrano che il peccato è una variabile del comportamento umano. Questa guerra è contro chi sostiene i gay, come il mondo occidentale, e ha cercato di distruggere il Donbass solo perché questa terra oppone un fondamentale rifiuto dei cosiddetti valori offerti da chi rivendica il potere mondiale e porta avanti la propaganda Lgbt”. Come nelle migliori tradizioni totalitarie, il patto tra religione conservatrice e tirannide politica è di acciaio. Il fatto che la Corte europea per i diritti umani abbia stabilito (nel 2014) che divieti come questi ledono i diritti dei cittadini poco conta: nello scorso marzo la Russia è uscita dal Consiglio d’Europa.


Proviamo a immaginare, se questa legge entrasse in vigore, cosa accadrebbe in Russia, paese dalla straordinaria tradizione artistica, riguardo all’immenso patrimonio letterario dell’umanità. Se due o più persone, per strada, in un cinema, in un teatro, in un luogo di cultura venissero scoperti a leggere il Gilgameš, il poema epico assiro-babilonese del terzo millennio a.C., in cui si narra la storia dell’eponimo eroe e sovrano sumero e del “sospetto” rapporto amicale che ebbe col suo compagno d’avventure Enkidu: sarebbero codesti improvvidi lettori passibili di multa? Potrebbero, costoro, leggere o discutere dei miti greci, come quello che narra dell’infatuazione erotica del sovrano degli Déi olimpi, Zeus, per l’avvenente Ganimede? Si potrebbero recitare i versi di Apollodoro di Atene (Sugli Dèi III.12.2)? Sarebbe bandito persino Omero, espurgata l’Iliade (XX.231-235), cassata la sospetta amicizia tra l’eroe Achille e il suo protetto Patroclo? Per fortuna la tragedia I Mirmidoni di Eschilo è andata perduta, poiché lì l’antico drammaturgo aveva l’ardire di rappresentare i due come perfetta coppia pederastica. E ancora, nella virile e guerriera Russia immaginata dal nuovo zar andrebbe cancellata anche la figura del macho Eracle, dei suoi amori con i compagni di virilissime avventure, il nipote Iolao e Ila? Andrebbe rimossa dalla storia la pederastia tebana e l’omosessualità militare dell’antica Grecia? Andrebbe riscritta la storia classica, cassando dai libri le norme del legislatore ateniese Solone, il pensiero del ben virile spartano Licurgo, il quale sosteneva che l’amore per i ragazzi fosse la forma più sicura di gratificazione sessuale, nella convinzione che l’amico più grande influenzava positivamente tramite la sua opera educativa il suo più giovane amato, considerando quindi l’amore pederastico come una delle maggiori virtù? Sarebbe bandita la sontuosa poetessa Saffo? Come nella notte dei roghi nazisti, sarebbero incendiati i suoi struggenti versi amorosi indirizzati all’amata? E via discorrendo, di oscena mutilazione in mutilazione.

Vabbé, i greci erano una banda di pederasti, ma i romani? Cosa accadrebbe se i nostri ipotetici interpreti recitassero pubblicamente i versi di Catullo dedicati al suo bel quattordicenne, Giovenzio-Juventius? Farebbero cadere il Cremlino l’ardito verso del Carmen 16, “Pedicabo ego vos et irrumabo”? Che fine farebbe la II ecloga di Virgilio, dedicata al legame omoerotico? Sarebbe maledetto il nome di Coridone e del bell’Alessi? E quel verso malandrino dell’Eneide (v.252), quei passi delle Metamorfosi ovidiane (X.155) e di altri numerosi capolavori dove si osa trattare l’innominabile tema dell’omosessualità?

Quanto poi ai virilissimi condottieri dell’antica potenza – cui tra l’altro certa Russia trovava pomposa ispirazione autoproclamandosi la terza Roma –, che ne sarebbe di Svetonio e delle sue Vite dei Cesari, visto che l’impertinente storico s’azzarda a ficcare il naso negli amplessi tra il re Nicomede IV e il giovane guerriero Gaio Giulio Cesare, conquistatore delle Gallie e di mezza Europa? O nelle faccende private dell’integerrimo Ottaviano, che apprezzava i “servigi” resigli con tremila pezzi d’oro? E che dire dell’amore nutrito dall’imperatore Adriano per il giovinetto Antinoo? Ovviamente, non si salverebbero dall’ipocrita rimozione gli Epigrammi di Marziale, dove lo sporcaccione descrive il suo ragazzo ideale, per non menzionare il Satyricon di quel birbante di Petronio.

L’antichità, vabbè, ma poi? Be’, provassero i nostri ipotetici cantori a discutere dei fabliaux, i dissacranti componimenti di epoca medievale, o a leggere in pubblico la novella del nostro Boccaccio che narra le vicende del perugino Pietro di Vinciolo e della sua assatanata moglie – e via discorrendo. E proseguendo nelle epoche, provassero a recitare i versi di Christopher Marlowe, cantore dell’ambiguità sessuale e del travestitismo, che ingaggiò una coraggiosa sfida ai miopi tabù del suo tempo, mettendo in scena un sovrano, Edoardo II e la sua inarrestabile passione amorosa nei confronti del conte Gaveston. Nemmeno il divino bardo, Shakespeare, si salverebbe da questa cieca opera di rimozione, visto che la gran parte dei suoi sonetti si rivolgono ad un misterioso “bel giovane”. E andando avanti nel tempo e nella geografia, sarebbe certo cancellato Honoré de Balzac, per la sua sfrontatezza a trattare ripetutamente l’innominabile tema, attraverso un protagonista ricorrente nella sua Commedia umana, Vautrin. E addio all’ultima opera di Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet, dove si narra dello strettissimo sodalizio amicale tra gli eroi eponimi, che (mio Dio che tocca sentire!) trova il suo apice nel progetto di adottare insieme due bambini – per sottacere delle esperienze omosessuali dello stesso autore. Il Novecento, poi, lasciamolo da parte: sterminato sarebbe l’elenco delle opere e degli autori, non di rado dei giganti, rimossi e cancellati.

Ma questi sono i frutti della perversa e putrida cultura occidentale, opinerebbero gli illuminati censori russi. Peccato, però, che anche la ricchissima letteratura del loro paese è attraversata – come ogni letteratura – di venature omosessuali e di tutti i temi che essi intendono proibire. Infatti, allarmata da cotanto zelo, la Federazione degli editori russi ha inviato una lettera alla Duma chiedendo lumi su alcuni classici come I Demoni di Fedor Dostoevskij, in cui compaiono scene interpretabili come depravazione minorile, il racconto La morfina di Mikhail Bulgakov, passibile di propaganda della droga, e il tradimento coniugale di Anna Karenina nell’omonimo romanzo di Lev Tolstoj. Ma no, li ha tranquillizzati Khinsthein, i classici sono parte del patrimonio della cultura russa e come tali saranno tutelati. Non così le opere contemporanee, quelle “non hanno nulla a che vedere con la letteratura”. Benvenuto all’erede di Bachtin.

E questo, per fermarci ad un solo campo dell’espressività e della creazione umana: si pensi cosa accadrebbe alle arti figurative, al cinema, alla fotografia…

In realtà, è ormai pacifico che l’omosessualità è stata ed è parte integrante (benché sottaciuta) di ogni epoca e cultura umana, con cui ha stretto legami di complicità e di fruttuoso scambio, anche e soprattutto in contesti socioculturali spesso ferocemente omofobi, caratterizzati dal patriarcato – stiamo parlando anche di noi, sia chiaro. Per questo, l’omosessualità è stata e continua ad essere un luogo pregno di senso, la sua tematizzazione in ambito letterario è uno spazio di elaborazione profondamente significativo, in grado di rivelare verità fondamentali sull’essere umano anche a tutti coloro che ad essa si sentono estranei. Bandirla, cassarla, eliminarla, rimuoverla comporta due cose: negare i diritti fondamentali ad una parte dell’umanità; confinarsi in un mondo vuoto e ipocrita, essiccare alla radice una cultura destinandola all’estinzione. Ma questo è il cieco programma di ogni tirannia – destinata al fallimento, come la storia insegna.

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