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La "rivoluzione cantante" dell'agosto 1989

Per i tre paesi baltici, Lettonia, Estonia e Lituania fu il primo grande vagito della nuova indipendenza. La canzone può essere rivoluzionaria.

La "rivoluzione cantante" dell'agosto 1989
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Marcello Cecconi Modifica articolo

18 Agosto 2022 - 15.24


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Quasi tre milioni di persone di ogni età e classe sociale si tenevano per mano cantando, in una catena umana lunga 600 chilometri che univa Tallin a Vilnius passando per Riga.  Il 23 agosto 1989, la “rivoluzione cantata”, che già aveva visto le prime mosse in ognuna delle tre capitali, si unificò in un’unica grande manifestazione pacifica che unì i popoli e territori di Estonia, Lettonia e Lituania.

Avvenne in questi giorni di agosto di trentatré anni con l’Europa occidentale che assisteva sonnecchiante, come solitamente quando i fatti non accadono nel pratino di casa sua, l’evento simbolico che ha avuto una conseguenza storica per la geopolitica mondiale. I tre paesi baltici iniziarono a far sentire al mondo la loro voglia di tornare ad essere Nazione e Stato.

La catena umana

Un messaggio che arrivò diretto a Mosca. La scelta della data infatti non era casuale, strizzava l’occhio al patto Molotov-von Ribbentrop.  Quel “brutto anatroccolo” che in quei giorni “festeggiava” il cinquantesimo e dal quale il mondo era venuto a conoscenza da poco, di quella parte di accordo rimasto segreto e che garantiva la “disponibilità” dei tre paesi a Stalin. Il risentimento dei baltici non era più contenibile e volevano dare un segnale preciso al Cremlino: vogliamo il pieno controllo. Due anni dopo, nel 1991, i Paesi Baltici realizzarono gli obiettivi di quella ‘catena’: la Lituania per prima dichiarò l’indipendenza dall’Unione Sovietica, cui seguì l’Estonia e subito dopo la Lettonia.

La “rivoluzione cantata” era iniziata a Tallin, in Estonia, quando a partire dal 1987 si dette avvio a cicliche dimostrazioni di massa, con canti spontanei di inni e pezzi folkloristici identitari fino ad allora proibiti, tutti eseguiti da musicisti rock estoni.  L’anno dopo, a Tartu, durante il Festival di Musica Pop ci fu ancora un grande ritorno di sentimento popolare con cinque canzoni patriottiche eseguite per la prima volta dopo la fine della guerra. Ne seguirono altre di manifestazioni, in Estonia ma anche in Lettonia e Lituania, fino a quella clamorosa che, appunto, univa tutti e tre i paesi nella catena umana del 23 agosto 1989.

Una della manifestazioni della “rivoluzione cantante” a Tallin il 17 giungo 1988,

Gli antefatti

Gorbaciov, con la sua “Glasnost” aveva incoraggiato a far alzare la testa a questi popoli che appena trent’anni dopo la prima indipendenza, l’avevano perduta all’inizio della Seconda Guerra. Era accaduto quando l’Unione Sovietica, sfiduciata dalla debolezza di Francia e Inghilterra, che stavano cedendo alle richieste territoriali di Hitler, non riuscì a stabilire con loro un accordo onorevole e allora, cambiando Ministro degli Esteri e strategia, ne fece uno proprio con Hitler stesso, sperando almeno di rimandare a tempi migliori la già prevedibile invasione tedesca. Un mese prima dell’inizio della guerra, il 19 agosto 1939, il patto Molotov/von Ribbentrop, fra cose sbandierate, aveva il patto segreto di lasciare a Stalin la “disponibilità” dei tre paesi baltici. La cosa piacque al Cremlino perché avrebbe almeno evitato che la Germania potessi usarli come avamposto per l’attacco a Leningrado. Così, quando meno di un mese dopo Hitler occupò la Polonia, l’Urss impose accordi ai tre paesi baltici che prevedevano la presenza di basi militari e navali per muoversi a suo piacimento nell’accordata espansione territoriale.

A giugno 1940, mentre l’Europa si concentrava sull’attacco tedesco a Parigi, Molotov accusava gli stati baltici di cospirazione contro l’Unione Sovietica e lanciò un ultimatum per istituire governi approvati dai sovietici. L’isolamento internazionale di Lituania, Lettonia e Estonia e la presenza di più di mezzo milione di uomini dell’Armata Rossa, di gran lunga superiori alle forze locali, consigliarono inutili spargimenti di sangue. Fra settembre e ottobre 1940, i tre paesi furono occupati con altrettanti colpi di stato e corrispondenti governi fantoccio. L’invasione tedesca, con la rottura del patto con Stalin, fu vista dai baltici, all’inizio, quasi come una “liberazione” facendo rinascere la speranza di indipendenza che portò molti baltici a collaborare col nazismo. Ben presto le tragiche deportazioni, le uccisioni in massa di ebrei e rom, fecero ripiombare i baltici nella più nera e bieca realtà.

Poi l’alleanza dell’Urss con l’Occidente, il ritorno dei sovietici a “occupare” i paesi baltici nella corsa vittoriosa dell’Armata Rossa verso Berlino e la Conferenza di Jalta che assegnava definitivamente Estonia, Lettonia e Lituania all’Unione Sovietica. I sovietici attuarono il programma di sovietizzazione con la collettivizzazione delle proprietà e si difesero dalla resistenza partigiana, che per alcuni anni cercò di opporsi imbracciando le armi, con ingenti deportazioni di civili in Siberia. Nel periodo che va dalla fine della guerra al 1955 interessarono circa mezzo milione di baltici che furono sostituiti dall’immigrazione di tanti lavoratori di etnia russa, che venivano a sostenere i piani industriali quinquennali.

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