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Il miracolo de “il manifesto”

Il 23 giugno 1969 uscì la rivista mensile che due anni dopo sarebbe diventata quotidiano. Il Pci radiò il gruppo di intellettuali e giornalisti che dettero vita a questa esperienza importante nell’editoria italiana

Il miracolo de “il manifesto”
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Marcello Cecconi Modifica articolo

23 Giugno 2022 - 11.37


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Eretici, cacciati dall’allora grande Pci, seppero tener botta e, anziché fondare uno dei tanti partitini della sinistra, decisero di farsi una bella rivista che poi, magicamente, trasformarono in un bel quotidiano, “il manifesto”. Esplicito il nome, chiara la collocazione.  Quel giornale che ha fatto, attraversando mille traversie, un pezzo di storia del secondo Novecento e che è ancora qui tra noi, tra i pochi fogli ed esperienze sopravvissuti a quella irripetibile stagione del Sessantotto e dintorni. Il quotidiano Il manifesto uscì, infatti, il 28 aprile 1971, ma il seme era stato gettato due anni prima, quando il 23 giugno 1969, arrivava nelle edicole il primo numero della rivista mensile con lo stesso nome. Insomma le date ci dimostrano come questo giornale esistesse prima di Repubblica e come si trovi tuttora in edicola e su internet ogni mattina, a differenza dei tantissimi “cugini” di sinistra come l’Unità, Paese Sera e L’Ora.

Una delle prime riunioni di redazione a “il manifesto”. Si vedono Luigi Pintor, Luciana Castellina e Valentino Parlato

Il manifesto è quindi un caso da studiare oltre che per il miracolo politico e finanziario anche per l’eccezionale scuola di giornalismo che rappresenta e che ha rappresentato. Solo per i primi anni, fino al 1978, si è identificato con una precisa parte politica quando ha accompagnato il Pdup guidato da Lucio Magri. In seguito nessun apparentamento politico diretto. Ha camminato fra mille difficoltà finanziarie e peripezie politiche ma in completa autonomia e cavalcando un pluralismo culturale e politico interno ed esterno. Chi ne ha fatto parte, e ne fa parte oggi, gode di quel marchio di fabbrica che significa “coerenza intellettuale” che non è però racchiusa in un perimetro ristretto di snobismo.

Ma come nacque il giornale? Il seme proveniva dal Pci e, fuori metafora, rappresentato da Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Valentino Parlato e Luciana Castellina. Da tempo costoro stavano pungolando con forza un cambiamento del partito strutturale e ideale, prima avanzando le loro diversità all’interno e, dal 1969, attraverso la rivista mensile dalla quale scaturì poi il quotidiano.

Era la fine degli anni Sessanta con l’esplosione delle proteste degli studenti e degli operai che urlavano domande ai “padroni” della cultura, delle fabbriche, degli Stati. “La risposta, amico mio, è nel vento”, cantava allora Bob Dylan, e anche il Pci faceva fatica a imbrigliare questo vento libertario e rivoluzionario che questo gruppo di intellettuali e giornalisti voleva interpretare fuori dai canoni ristretti del partito. Nel Pci il collante Palmiro Togliatti non c’era più da qualche anno e l’era di Enrico Berlinguer stava iniziando con l’affiancamento dell’ammalato segretario Luigi Longo.

Anche Ingrao, che pure rappresentava l’ala più a sinistra, nella riunione del comitato centrale del 15 ottobre 1969 fece intendere che di lì a poco i “critici” sarebbero stati radiati: “… i compagni del Manifesto…hanno parlato di «rivoluzione culturale», hanno parlato di «riforma generale» e di «rifondazione» – aggiungendo -So che il termine di «rivoluzione culturale» è un’analogia, e assai sommaria, che a me, per dire la verità, non è piaciuta. Ma analogia per analogia, compagni, lasciatemi ricordare che la rivoluzione culturale cinese non è stata certo un’esplosione di spontaneità. Si è trattato là di una consapevole ed organizzata mobilitazione di forze che erano massicciamente presenti nel partito e nella società; e si è fatta agire fortemente anche la tradizione, sotto la forma molto corposa dell’armata rossa. E tutti quanti sappiamo che si è trattato di un rivolgimento sì; ma di un rivolgimento fortemente guidato dall’alto e concluso dall’alto.  

Il 27 novembre 1969 avvenne ufficialmente la radiazione per Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli con l’accusa di “frazionismo”. Contro la radiazione si espressero solo Lucio Lombardo Radice, Fabio Mussi e Cesare Luporini. Successivamente, con un provvedimento amministrativo, fu espulso Lucio Magri e rifiutati i rinnovi di iscrizione a Valentino Parlato e Luciana Castellina.

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