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I Foo Fighters e l’addio a Taylor Hawkins

L’appuntamento musicale del mercoledì

I Foo Fighters e l’addio a Taylor Hawkins
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Lucia Mora Modifica articolo

30 Marzo 2022 - 17.53


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«È con grande tristezza che i Foo Fighters confermano la cancellazione di tutte le prossime date del tour dopo la terribile perdita del nostro fratello Taylor Hawkins. Siamo dispiaciuti e rattristati come voi dal fatto che non ci vedremo come previsto. Prendiamoci questo tempo per piangere, per superare il dolore, per stare vicini ai nostri cari e per apprezzare i ricordi e la musica che abbiamo fatto assieme».

È il messaggio che i Foo Fighters hanno pubblicato sui loro canali social in seguito alla morte improvvisa, a soli cinquant’anni, del batterista Taylor Hawkins, avvenuta in un hotel di Bogotà lo scorso 25 marzo.

La puntata di oggi della “Frusta musicale” non poteva che essere dedicata a loro.

One by One (2002)

Il disco che per poco non sciolse la band. La preponderanza dell’apporto di David Grohl rispetto ai compagni – per quanto riguarda i testi, lo stile e, in sostanza, quasi ogni decisione del gruppo – fu causa di aspre tensioni, soprattutto con Hawkins, il cui abuso di droghe (culminato in una overdose a Londra) non era certo di aiuto. Dopo un anno e un investimento di quasi un milione di dollari, i Foo Fighters gettarono all’aria gran parte del lavoro svolto fino a quel momento e ricominciarono da capo, cercando di rinnovare il proprio approccio al lavoro. Senza ottenere grandi risultati, purtroppo. Eccezion fatta per All My Life, One by One è – a detta dello stesso Grohl – piuttosto scadente. Probabilmente il loro peggior prodotto.

Wasting Light (2011)

Registrato nel garage di Grohl (che dimostra così di non aver dimenticato le origini grunge), Wasting Light è uno dei dischi più sottovalutati dei Foo Fighters. Non viene quasi mai citato tra i migliori, ma ha il grande merito di recuperare quell’energia grezza che aveva caratterizzato i primi album. Infatti, il suono si libera degli artifici inutili dei lavori precedenti e torna ai fasti degli anni Novanta, giovando tra l’altro della maturità artistica sviluppata nel frattempo da Grohl, soprattutto per quanto riguarda i testi. Anche Hawkins dà qui libero sfogo alla propria creatività: come non citare il curioso ritmo dettato dalla campana del suo ride in Rope?

The Colour and the Shape (1997)

Se, come abbiamo detto, One by One rischierà nel 2002 di dividere la band, in realtà già con The Colour and The Shape si era vista una rottura pressoché totale. Le ragioni sono principalmente tre: il divorzio di Grohl dalla prima moglie, Jennifer Youngblood; i continui paragoni con i Nirvana; la pressione crescente sul futuro, dovuta all’inaspettato ed enorme successo. Per non parlare del consueto atteggiamento semi-dittatoriale di Dave, o dei contrasti che portarono all’allontanamento dell’allora batterista William Goldsmith (che lasciò quindi il posto ad Hawkins, dopo aver saputo che Grohl aveva ri-registrato praticamente ogni sua parte alla batteria) e del chitarrista Pat Smear. I presagi per una disfatta musicale c’erano tutti, proprio come nel caso di One by One. Eppure, contro ogni pronostico, The Colour and The Shape si rivelò uno dei migliori dischi di tutta la carriera, se non il migliore. Contiene in sé tutti gli elementi che hanno saputo rendere grandi i Foo Fighters: la potenza rock, un piccolo debole per i tormentoni pop e testi particolarmente significativi. Dalle hit (non esiste concerto dei Foo che non abbia in scaletta Everlong, Monkey Wrench e My Hero) fino ai brani meno noti (come February Stars o Walking After You), il gruppo raggiunse una qualità veramente difficile da replicare, nonostante gli incidenti di percorso.

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