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Dio si chiama Zappa Frank Vincent

L’appuntamento musicale del mercoledì

Dio si chiama Zappa Frank Vincent
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Lucia Mora Modifica articolo

9 Marzo 2022 - 19.10


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“Frank Zappa & the Mothers were at the best place around / But some stupid with a flare gun burnt the place to the ground”. Li avete riconosciuti? Sono versi tratti da Smoke on the Water, l’eterna hit in cui i Deep Purple raccontano un fatto realmente accaduto a Montreux, nel 1971: verso la fine di un concerto di Frank Zappa and the Mothers of Invention, uno spettatore sparò un razzo segnaletico che diede fuoco al Casinò; i Purple assistettero all’incendio da un hotel poco distante, osservando la coltre di fumo che coprì il lago Lemano (“smoke on the water”, appunto).

Ma Zappa non ha ispirato solo questa canzone. Frank Vincent Zappa è considerato a ragione uno dei più grandi geni musicali di sempre. «Dio si chiama Zappa Frank Vincent», canta Caparezza nella Rivoluzione del Sessintutto, e il rapper pugliese è in ottima compagnia: da Elio e le Storie Tese a Stefano Bollani, da Mike Portnoy ai Ramones, da Steve Vai ad Alice Cooper (che lo considerava “il” genio per eccellenza), Zappa è l’idolo di ogni generazione di musicisti – e non solo. Gli sono persino stati dedicati un esemplare di ragno con un segno addominale che ne ricorda i caratteristici baffi (Pachygnatha zappa) e un asteroide (3834 Zappafrank).

Inutile aggiungere altro.

Thing-Fish (1984)

Sia chiaro: il “peggior” album di Frank Zappa è comunque superiore al miglior album di tanti, tantissimi altri artisti. Ciò detto, Thing-Fish è idealmente un musical rock (come l’ottimo Joe’s Garage del ‘79) ma, concretamente, sembra più un’accozzaglia di canzoni rivisitate, prive di quella vena ispirata e provocatoria che contraddistingue le migliori opere di Zappa.

Läther (1996)

A pari merito con Uncle Meat (1969), sale sul podio dei migliori dischi del “prog man” baffuto. È veramente un peccato che sia molto meno conosciuto rispetto ad Uncle Meat, perché Läther resta uno dei suoi lavori più ambiziosi. È un buon compendio di tutte le caratteristiche dello stile “zappiano”: l’impossibilità di catalogare la sua musica in un solo genere (passa dal rock al blues, dal jazz alla classica in un batter d’occhio), arrangiamenti a dir poco complessi (non male, per un autodidatta) e sprazzi di improvvisazione geniale.

Hot Rats (1969)

Un disco interamente sperimentale, pietra miliare della carriera del musicista statunitense. È il suo primo progetto solista senza l’accompagnamento dei Mothers of Invention ma, per usare un eufemismo, Frank se la cava alla grande – anche grazie al fondamentale contributo del tastierista Ian Underwood, insieme al quale Zappa fa scintille per circa 45 minuti. Difficile immaginare un disco jazz-rock migliore di questo, avanguardistico sotto tutti i punti di vista: venne registrato con le più avanzate e sofisticate apparecchiature disponibili all’epoca per garantire la miglior qualità possibile e fu così uno dei primi album in assoluto a essere registrato su un registratore multitraccia a sedici piste. Basti pensare che, mentre Zappa registrava Hot Rats, i Beatles stavano lavorando al loro Abbey Road limitati dall’uso di un registratore a otto piste.

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