Procol Harum, addio a Gary Brooker | Culture
Top

Procol Harum, addio a Gary Brooker

L’appuntamento musicale del mercoledì

Procol Harum, addio a Gary Brooker
Preroll

Lucia Mora Modifica articolo

2 Marzo 2022 - 17.15


ATF

Lo scorso 19 febbraio la musica ha perso una delle sue voci più armoniose: un cancro si è portato via Gary Brooker, storico cantante dei Procol Harum. Per gli amanti del mondo progressive (e non solo), è una perdita enorme. Persona splendida – nel 2003 era stato nominato Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico, per via della sua attività di beneficenza – e ottimo professionista con cui lavorare, Brooker ha avuto una carriera straordinaria. Ha collaborato con Eric Clapton, con Ringo Starr, con Bill Wyman dei Rolling Stones, con Paul McCartney, con George Harrison… E si potrebbe andare avanti a lungo.

Oggi lo ricordiamo con un omaggio ai Procol Harum, un gruppo che ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nella storia del rock progressivo.

Something Magic (1977)

Pur trattandosi di un lavoro che, se paragonato a quanto esce al giorno d’oggi, sembra un capolavoro, il nono disco dei Procol Harum risente un po’ del clima in cui è stato prodotto: i produttori Ron e Howie Albert rifiutarono più di cinque brani proposti dalla band, accettandone solo quattro. La pressione del dover far uscire un disco a tutti i costi e del doverlo fare il prima possibile è deleteria. È risaputo. Infatti, il paroliere di quasi tutte le canzoni dei Procol Harum, Keith Reid, si lamentò proprio di quei comportamenti che, dall’esterno, rischiavano di portare la band allo scioglimento. Guarda caso, la monumentale suite di 19 minuti posta a cuore di questo disco si intitola The Worm & The Tree e parla di un verme che, dopo essersi insinuato nel tronco di un albero, lo divora morso dopo morso, giorno dopo giorno.

Procol Harum (1967)

Se Something Magic non è un disco molto rappresentativo dei Procol Harum per i motivi di cui abbiamo discusso, lo stesso non si può dire del primo album omonimo, decisamente il loro lavoro più iconico. Anzitutto, è il loro debutto, quindi va da sé che lo considerassero il loro biglietto da visita. Infatti, Procol Harum contiene quel connubio tra il blues rock e la (cosiddetta) musica classica su cui il complesso britannico costruirà la propria fama. L’esempio più eclatante e plateale è senza dubbio A Whiter Shade of Pale, che nel Regno Unito uscì solo come singolo; solo nella versione USA compare anche in questo disco. La traccia ebbe un successo tale da esser diventata leggenda. Solo i Procol Harum potevano pensare di rivisitare l’Aria sulla quarta corda (con alcune componenti della cantata BWV 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme) di J.S. Bach con l’irrinunciabile tocco dell’organo Hammond, strumento caposaldo del prog. Anche qui, comunque, non mancarono certe schermaglie discografiche: nel 2005 Fisher reclamò i diritti d’autore per la canzone, vincendo una causa contro la band. Da allora, Brooker ha ribattezzato il brano “A Darker Shade of Black”, prevedendo un futuro in cui «autori, band e musicisti non potranno più entrare in sala di registrazione senza pensare che un giorno uno di loro reclamerà una quota dei diritti d’autore».

A Salty Dog (1969)

Nel libro Il pop inglese (1974), Riccardo Bertoncelli, Marco Fumagalli e Manuel Insolera definiscono i Procol Harum «i profeti del suono orchestrale». Hanno ragione? Con il suo tocco commovente, la title track A Salty Dog può essere considerata come un “sì” alla domanda. Possono confermarlo tutte quelle persone che negli anni Settanta seguivano la trasmissione “Avventura” sulla Rai (A Salty Dog era il brano di chiusura del programma) e che ora, a sentire gli archi e il pianoforte con il rumore del mare e dei gabbiani, si emozionano come allora. Poi c’è il crescendo di The Devil Came From Kansas, le “percussioni hippie” di Boredom e, sopra a tutto e a tutti, il blues caldo e intenso di Crucifiction Lane. A Salty Dog è insomma un disco meno “incisivo” rispetto a Procol Harum, ma resta ugualmente di una qualità rara.

Native

Articoli correlati