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Achille Lauro, San Marino e l’Eurovision: il nuovo “Fronte dell’Uomo Qualcuno”

Achille Lauro vince il contest “Una Voce per San Marino” e guadagna un posto all’Eurovision. Era davvero necessario?

Achille Lauro, San Marino e l’Eurovision: il nuovo “Fronte dell’Uomo Qualcuno”
Achille Lauro
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24 Febbraio 2022 - 12.30


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di Lucia Mora

Per capire (sempre che ci sia qualcosa da capire) il fenomeno “Achille Lauro”, basta ascoltare Io diventerò qualcuno del buon Caparezza: è un brano sull’esibizionismo che sempre più caratterizza la società, al punto che – nella fantasia di Capa – i personaggi che animano la televisione fondano “il Fronte dell’Uomo Qualcuno”. Si tratta di un partito che cerca di vincere le elezioni con atti ridicolmente eccentrici, come la costruzione di uno “Spazioporto di Puglia”, un’immensa stazione spaziale del tutto inutile al popolo, ma pur sempre luccicante e quindi in grado di attrarre consenso.

Ecco, Achille Lauro è lo spazioporto più inutile e luccicante del panorama musicale italiano. Vuole fare scandalo senza mai essere davvero scandaloso, gioca con un look androgino più per far parlare di sé che per libertà di espressione, strizza l’occhio al pubblico intellettuale quando neanche la sua ombra ha una qualche parvenza di genio. Nonostante tutto questo, nel 2020 è il primo italiano a essere nominato Chief Creative Director di “Elektra Records”, la storica etichetta che ha creato e seguito artisti del calibro di AC/DC, Queen e The Doors. Perché? Perché luccica. Perché lo applaudono. Quindi deve essere bravo per forza, altrimenti non si spiega.

In effetti non esistono proprio altre ragioni per spiegare l’incredibile consenso popolare di uno che riesce a partecipare a Sanremo – ottenendo pure un buon posto in classifica – e a vincere il contest “Una Voce per San Marino” con il brano Stripper (un titolo, un programma) senza avere la benché minima dote musicale. Per carità, il tentativo di Lauro di ergersi a nuovo leader del Fronte dell’Uomo Qualcuno sarebbe anche commovente, se solo a rimetterci non fossero sia la musica (che in Italia non vedeva una simile perdita di dignità dai tempi di I bambini fanno “ooh…”) sia le nostre aspettative. Sì, perché a forza di ascoltare rumenta, alla fine le orecchie rischiano davvero di convincersi che il primo Lauro che passa per strada possa essere “il nuovo David Bowie” (sic). Dio ce ne scampi.

Eppure, la vittoria di Achille Lauro come portabandiera della Repubblica del Titano per l’Eurovision era pressoché già annunciata in partenza. Da un lato, perché aveva una concorrenza inerme: tanto per fare due nomi, Ivana Spagna e Valerio Scanu, non esattamente Janis Joplin e Jim Morrison; dall’altro lato, perché l’Eurovision è una competizione dove spesso la presenza scenica conta più del talento musicale. L’habitat naturale di uno come Lauro, abituato a dare molto più peso al personaggio e all’apparenza che non alla qualità dei brani, ormai tutti uguali a Rolls Royce del 2019. Guai ad andare oltre a quei quattro accordi, o a scrivere testi che stiano in piedi da soli.

La domanda è: arriverà mai il punto in cui anche il pubblico raggiungerà il limite di sopportazione massima? A giudicare dal fatto che persino l’Osservatore Romano ormai lo guarda con tenera compassione («non ci sono più i trasgressori di una volta»), qualche speranza forse c’è. Meglio tardi che mai.

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