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Il "Caso Rossi" banco di prova del potere giudiziario e di quello dei media

Conversando con Antonio Fraschilla, inviato de L'Espresso, sui continui colpi di scena che alimentano una delle vicende che appassionano l'opinione pubblica

Il "Caso Rossi" banco di prova del potere giudiziario e di quello dei media
La studio di David Rossi: foto dei sopralluoghi
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13 Febbraio 2022 - 20.07


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di Marcello Cecconi

Dal sottofondo gracchiante degli altoparlanti si capisce che Antonio Fraschilla è in aeroporto. Lo raggiungo al telefono, come d’accordo, per scambiare due chiacchere con il giornalista de L’Espresso, che rimediando al ritardo del settimanale, si è immerso nel caso David Rossi. Non può esimersi da questo nostro incontro, non lo farebbe comunque, ma il fatto che anche lui si sia laureato a Siena e proprio in Scienze della Comunicazione e, come tiene a precisare, con tesi in semiotica, mi facilita l’approccio. Sedici anni nella sua Sicilia alla redazione palermitana di Repubblica, un paio di libri pubblicati e, dall’anno scorso, chiamato a Roma dal direttore de L’Espresso, Damilano, per occuparsi del settore inchieste.

Antonio Fraschilla, il giornalista de L’Espresso che segue il “Caso Rossi”

Gli chiedo “un punto di vista” sugli ultimi sviluppi del caso Rossi. Si capisce il perché.  Viene da buona scuola e mi ricorda, subito, che per fare buone inchieste non si inseguono pareri ma fatti, ponendosi domande su ciò che dagli stessi, emerge. Concordo. Annuisco ed entra, così, nel merito: “il vero tema che sta emergendo sul caso Rossi- conferma-  è la certezza che tutte le prime indagini non hanno risposto a tutte le domande e che i magistrati hanno seguito una strada che era quella del suicidio senza, nell’immediatezza, verificarne altre”.

Fa una pausa come se i suoi pensieri se ne andassero per la loro strada. Ma è un secondo e ancor prima che ch’io porga altre questioni, subito riprende a parlare. E lo fa partendo dalla ormai nota mail. Quella, pubblicata nel suo primo articolo su L’Espresso; lettera che Rossi avrebbe scritto il 4 marzo 2013 alle 10,13, due giorni prima della sua morte. È la mail nella quale il responsabile della comunicazione del Mps metteva in oggetto “Help” annunciando il suicidio al suo amministratore delegato, Fabrizio Viola, in quei giorni all’estero. “Sicuramente – mi dice- è un’anomalia abbastanza grave che di fronte al fatto che in una conversazione via mail che va avanti per tutta la giornata fra Viola e Rossi ci sia questa delle 10,13 che l’A.D. sostiene di non aver mai letto. Nell’interrogatorio, eseguito poco tempo dopo la morte di Rossi, Viola ribadiva infatti di non averla mai letta mentre invece riconosceva tutte le altre mail che si sono susseguite nella giornata”. Aggiunge anche come questa anomalia sia resa più evidente dalle dichiarazioni di Lorenza Pieraccini e di Valentino Fanti, entrambi dello staff di direzione, che invece hanno dichiarato di aver letto la mail dell”Help” il giorno stesso, cioè il 4 marzo.

Antonio Fraschilla, si pone e mi pone domande che naturali scorgano da queste stato di cose, e sono: perché per verificare un’incongruenza importante, Lorenza Pieraccini viene sentita solo nel 2017, quasi quattro anni dopo la morte di Rossi? E come è stato possibile che la stessa Pieraccini e il Fanti, uniche persone che avevano accesso alle mail insieme a Viola, non ne abbiano mai parlato con l’Amministratore Delegato? E mi fa notare alcune contraddizioni emerse: “Non ne parlano prima ma non ne parlano nemmeno dopo la morte di Rossi, nemmeno informalmente, e rimane questo fatto particolare che tre persone leggono quella mail, con il destinatario vero che dice di non averla letta mentre le altre due confermano di averla letta e con la Pieraccini che testimonia di averla stampata e portata personalmente al Fanti”. Stranezza dopo stranezza, se poi si aggiunge il fatto che la stessa Pieraccini dichiara che quando aprì la mail in questione aveva notato che era già stata aperta da altri e che quando, il giorno dopo la morte di David, andò a ricercarla, la trovò cancellata.

Da chiarire ci sono molti fatti e comportamenti ma non possono farlo i giornalisti. E nemmeno la Commissione Parlamentare che non ha un compito inquirente in senso stretto.  Antonio Fraschilla sostiene che questo è compito dei magistrati: “Nessuno sta dicendo- specifica- che qualcuno dica il vero o il falso anche se di fronte alle dichiarazioni fatte in questi giorni dalla Pieraccini e da Fanti, e di fronte al verbale del 2013 di Viola, è chiaro che qualcuno non dice le cose con precisione. Si smentiscono a vicenda e la cosa incredibile è che i tre non ne abbiano mai parlato dopo la morte di David, mai, nemmeno davanti alla macchinetta del caffè, nemmeno a casa con i familiari, nemmeno a cena, veramente singolare”

Mi fa notare anche  la “stranezza” della rapida disattivazione dell’utenza mail di Rossi, avvenuta al massimo la mattina dopo la sua morte, un’urgenza che non ha spiegazione. “Eccoci al punto – continua Fraschilla – è quello che è accaduto dentro quelle stanze che non è mai stato chiarito e nemmeno le registrazioni delle telecamere hanno contribuito a farlo. Non è mai stato indagato a fondo su quel palazzo e sulle dinamiche e i rapporti fra le persone all’interno di quel palazzo, Né nell’immediatezza della morte e nemmeno nei momenti successivi. Da giornalista non ho idee preconcette in maniera assoluta ma, in ogni caso, la risposta, anche sulla tesi del suicidio, non può essere che dentro quel palazzo”.

Le anomalie intorno a quella mail non finiscono. La Polizia Postale, che ultimamente è stata chiamata a indagare, ha sì premesso che il materiale informatico del portatile del Rossi esaminato era stato dato per un periodo in affidamento alla famiglia e quindi con possibilità di alterazione, ma non ha spiegato niente. Non ha dato risposta al perché da queste analisi risulti che la mail di Rossi “consegnata” il 4 marzo sarebbe stata “creata” addirittura il 7, tre giorni dopo, e nemmeno al perché il file della mail parrebbe salvato in una cartella nel 2014.  Tutte queste anomalie attendono risposte mentre le due procure interessate, Siena e Genova, si palleggiano competenze.

Sono curioso di conoscere la motivazione della scelta di Antonio Fraschilla di “depurare” tutta la sua inchiesta giornalistica delle complicanze di cronaca rosa o politica che vorticano intorno al doloroso evento. Mi chiarisce che, a suo parere, “il lavoro d’inchiesta è lavoro chirurgico e io devo concentrarmi sui punti di anomalia di questa vicenda e non su tutto quello che è il contesto del contorno. Solo se domani avrò elementi o fonti attendibili che uniscono concretamente il contorno alla vicenda stessa non esiterò ad ampliare la mia inchiesta”.

Non posso terminare questo colloquio senza parlare del suo ultimo libro, scritto a quattro mani con Luca Bianchi direttore di Svimez, “Divario di cittadinanza. Un viaggio nella nuova questione meridionale” (Ed. Rubbettino, pag. 180, Euro 14,00). Un libro, come mi racconta, che parla dei problemi che ancora oggi, più di ieri, esistono al Sud, del grande divario di accesso alla sufficiente qualità della vita che esiste fra il Sud e il Nord con i diritti costituzionali minimi non garantiti parimente in tutto il Paese. Si appassiona nel parlarmi della sua terra. Poi si ferma, l’areo sta partendo, e quando gli dico che in queste sue ultime parole mi suonavano come un racconto del Verga, ride “… guarda che io sono proprio di Vizzini!”

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