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I noti e dimenticati, ovvero il resto degli umani

I volti delle vittime vengono dimenticati in pochi giorni. Ma non accade per i i divi della politica, dello spettacolo, e della comunicazione e, da ultimo, della scienza

I noti e dimenticati, ovvero il resto degli umani
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Giacomo Todeschini Modifica articolo

10 Giugno 2021 - 22.35


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La cronaca ci parla di continuo di violenze razziste e di genere, di incidenti da negligenza, di morti sul lavoro evitabili, di gente che fugge da guerre e miseria. Il medico “nero” picchiato perché voleva fare il suo mestiere a Chioggia, l’operaia morta sul lavoro a Prato, le vittime della funivia del Mottarone, le migliaia di aggrediti dai razzisti di cui parlano le statistiche di “Lunaria”, i malmenati per le loro preferenze sessuali, certo sono ben diversi fra loro: ma qualcosa di comune ce l’hanno, il fatto di venire dimenticati in pochi giorni. Queste vittime dal nome imprecisato, o ricordato ma velocemente scordato, hanno facce che pur talvolta affollandosi sugli schermi e sulle pagine, sbiadiscono in  fretta: sono così tante, e appartengono a persone che contano così poco. 

Nello stesso tempo una quantità di facce famose ci assedia di continuo da giornali, televisioni e manifesti. Sono i divi della politica, dello spettacolo, e della comunicazione e, da ultimo, della scienza: dagli attori ai social influencer, dai virologi alle presentatrici, dai cantanti ai ministri, dagli alti prelati ai presidenti di questo e di quello. Queste facce non si possono dimenticare, perché persistono e si ripresentano senza sosta.

L’economia del mercato globale nella quale stiamo immersi di giorno in giorno non risparmia modelli eccellenti ai quali rifarsi, ai quali credere e fare attenzione. Per sapere cosa pensare, quale aspetto avere, per immaginare e temere cosa ci aspetta domani, accanto ad astrologi e maghi campeggiano quindi su schermi e pagine le facce sorridenti o accigliate, piene di brio, ironiche o davvero serie di una folla di personaggi imposti, riconosciuti e a volte invocati come i protagonisti della vita pubblica ma anche privata di chi sta a guardarli. Ci fanno sapere quali sono i nostri bisogni e come soddisfarli, ci raccontano quando e come si sposano, ci istruiscono riguardo al modo giusto di agire in situazioni diverse, di curarci, di vivere, ci abbagliano rivelandoci quante migliaia di persone li applaudono, rivendicando dunque il loro diritto a spiegarci un po’ di tutto. Litigano fra loro, concordano, discordano, arringano. Saturano lo spazio pubblico, gesticolando, comunicando, ammonendo.

In due parole: di fronte a una maggioranza di pubblico che ascolta e che guarda stanno i gesti, le facce e le parole di una minoranza di gente che conta (o che si pensa che conti). La luce irradiata da questa minoranza potente oscura le facce degli altri, molto più numerosi, che vivono, soffrono e spariscono dalla scena per fare posto ad altri ancora.

Nel 1902 Jack London in una sua indagine sul proletariato e sottoproletariato londinese (Il popolo dell’abisso) descrivendo una celebrazione pubblica osserva che “Seimilacinquecento prelati, preti, uomini di Stato, nobili e militari d’ogni grado, partecipavano direttamente alla cerimonia. e facevano parte della meravigliosa processione che il resto degli umani contemplava al passaggio.” La processione continua a sfilare e il resto degli umani continua a guardarla.

Le facce delle vittime e quelle dei protagonisti, dei dimenticati e dei ricordati, sono evidentemente la conseguenza più visibile di una civiltà commerciale e  finanziaria che distingue l’umanità fra chi vale e parla, suggerisce e dispone e chi non vale e ascolta, assimila e subisce. Benché si dica spesso che il pubblico di quelli che “non contano” desidera e chiede la presenza di protagonisti, divi, esperti e stregoni, risulta invece chiaro ad una analisi appena più approfondita che è la violenza dell’attuale assetto economico a imporre la differenza e la simultanea presenza sulle pagine e sugli schermi delle facce eccellenti che parlano e spiegano, e delle facce intercambiabili di chi patisce le conseguenza di un’organizzazione sociale fondata sullo sfruttamento – anche mediatico – delle vittime.

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