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Senza donne nessuna crescita, l'allarme degli economisti e del mondo produttivo

Dalla direttrice dell’Istat Linda Laura Sabbadini alla rettrice della Sapienza Antonella Polimeri fino all’economista Carlo Cottarelli: infrastrutture sociali e tassazione agevolata

Senza donne nessuna crescita, l'allarme degli economisti e del mondo produttivo
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17 Febbraio 2021 - 21.05


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di Francesca Fradelloni

«La nostra economia non potrà riprendersi del tutto se le donne non vi parteciperanno appieno», lo ha affermato qualche giorno fa la vicepresidente degli Usa Kamala Harris in un intervento ripreso poi dal Washington Post. Un intervento che viene a pochi giorni dagli incredibili dati italiani che raccontano come, rispetto al mese di novembre 2020, le donne occupate siano diminuite a dicembre di 99 mila unità, mentre tra gli uomini la flessione è di 2 mila posti di lavoro. In sostanza su 101mila disoccupati, 99mila sono donne. La questione di genere è centrale come valore etico e risorsa sociale ed economica per il nostro Paese. Fa davvero impressione come non venga vista da tutti e tutte come una delle emergenze più importanti.

La perdita del posto di lavoro, la chiusura delle piccole imprese, la mancanza di asili nido hanno creato una tempesta perfetta per le lavoratrici italiane.

Eppure, l’occupazione femminile come volano per il rilancio dell’economia italiana, non è una minuzia all’interno di un problema più grande, ma è una priorità per innescare una rapida trasformazione, con strategie diverse, nuove, innovative. Anzi può diventare “la ricetta”.

Più che un diritto, il lavoro per le donne sta diventando un privilegio. Il tema è urgente e va affrontato non solo in un’ottica di equilibrio e di inclusione, ma soprattutto di crescita dell’intero sistema produttivo italiano. Sistema di cui la pandemia ci ha mostrato, e continua a farlo, la vulnerabilità. La spiegazione c’è, le donne hanno lavori più precari e irregolari. Questo ha delle conseguenze. «Disuguaglianza anche tra le stesse donne», racconta Linda Laura Sabbadini, Chair Women20 e direttrice centrale Istat, ospite al webinar “Il ring delle idee” organizzato da Elisa Greco. «Differenze tra donne del nord e donne del sud, donne istruite e poco istruite». Cosa bisogna fare? «Bisogna dare una svolta alle politiche di questo Paese, un problema che è stato rimosso per decenni, non affrontando il tema delle infrastrutture sociali: sanità, servizi educativi, estensione del tempo pieno, azioni per gli anziani e i disabili, insomma liberare le donne dal carico di lavoro familiare che schiaccia le donne italiane. Tutti in Europa ci hanno investito. Ci ritroviamo dopo 60 anni dalla legge che istituiva gli asili nido pubblici, a solo il 12% dei bambini che ci vanno. Se si riduce la disuguaglianza di genere, si riducono tutte le altre disuguaglianze, per un motivo semplice: le donne sono la metà del Paese».

 

C’è bisogno anche di investire sull’imprenditoria femminile e sugli stereotipi. Secondo Antonella Polimeri, rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, la più grande d’Europa, il punto di partenza è la formazione. I dati ci raccontano una più grande discriminazione. Secondo gli ultimi dati Istat le donne nel nostro Paese con almeno un diploma sono quasi due terzi del totale, il 65%, 3 punti percentuali in più degli uomini. Ancora più forte il dato se si guarda alle laureate. Infatti, le donne laureate sono il 22%, contro il 17% degli uomini. «La formazione femminile corre, galoppa. Il trend di crescita sul livello di istruzione femminile molto veloce che non ha frenate, anzi. Le donne sono più studiose, più brave a scuola, si laureano prima», dice Antonella Polimeri. «Cosa ci dicono questi numeri? Abbiamo una platea femminile, nella formazione, più brillante, in ingresso e in uscita, ma poi qualcosa si inceppa, non funziona più». Il capitale umano femminile è a un livello di istruzione che sta superando quello maschile ed è una sottolineatura della disuguaglianza. Ed è una questione di numeri, incontrovertibili, non in discussione.

«Abbiamo un’economia che cresce poco, un’economia che invecchia, un basso tasso di natalità, abbiamo un numero maggiore di pensionati in futuro che di lavoratori. La nostra economia ne gioverebbe molto della presenza delle donne», racconta Carlo Cottarelli, economista e direttore Osservatorio sui conti pubblici italiani, anche lui ospite al dibattito. Ma c’è un aspetto qualitativo. «La presenza di donne a livello manageriale aumenta l’efficienza economica delle imprese, lo dicono tutti gli studi più accreditati». Dalle stime della Banca d’Italia viene fuori che con un aumento del tasso di partecipazione femminile al 60% si arriverebbe, quasi “meccanicamente” un aumento del Pil fino al 7%. Inoltre, gli analisti di McKinsey dicono come la parità di genere può valere il 26% del Pil mondiale, pari a 12 trilioni di dollari di ricchezza globale in più entro il 2025.

Il tutto confermato dal FMI. Il Fondo analizzando più di due milioni di società in 34 paesi d’Europa ha rilevato che l’aumento del numero di donne ai vertici delle società e nei Cda, è associato ad una migliore performance finanziaria. Il che permetterebbe alle società di fare più investimenti a livello aziendale e nella produttività. L’uguaglianza fra uomo e donna, con la parità fra donna e uomo, “rafforza la crescita e promuove la stabilità economica degli Stati. Ma soprattutto spinge gli utili delle aziende e sostiene una maggiore stabilità nel settore bancario”. Non parole vane, ma scritte nel “working paper” del Fmi durante il G7 del Canada nel 2018.

 

Cosa bisognerebbe fare? «L’offerta di lavoro femminile è molto più elastica alla tassazione, il che vuol dire che se io aumentassi un pochino le tasse sugli uomini e la diminuissi sulle donne, avrei un aumento molto forte dell’offerta del lavoro femminile. Ovviamente la Costituzione non lo permetterebbe, ma basterebbe una facilitazione per la partecipazione al mondo del lavoro per il secondo coniuge», propone Cottarelli. Forte il condizionamento culturale, ricorda la giornalista Sabrina Scampini, la donna che deve rinunciare, la donna è il perno della vita affettiva del nucleo familiare. Poi c’è la questione femminile calata nel mondo produttivo. Monica Poggio, amministratore delegato Bayer Italia, parla di una cultura per obiettivi che mette al centro la persona che vuol dire la famiglia e un sistema di welfare aziendale. Non solo. Ogni impresa che rinuncia alle donne ha anche la grave colpa di indebolire il sistema previdenziale: più italiane al lavoro, più numerosi i contributi versati nelle casse dell’Inps.

 

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