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Nelle corna pseudovichinghe di Jake Angeli la verità storica è l’ultimo dei problemi

I vichinghi piacciono al momento del suprematismo bianco americano perché richiamano una prima scoperta dell’America, avvenuta intorno all’anno Mille: eploratori nordeuropei, bianchi.

Nelle corna pseudovichinghe di Jake Angeli la verità storica è l’ultimo dei problemi
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Gabriella Piccinni Modifica articolo

10 Gennaio 2021 - 18.35


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Siamo rimasti tutti a bocca aperta di fronte all’eccentrico e aggressivo abbigliamento con il quale Jake Angeli ha partecipato all’assalto al Campidoglio Usa, al grido di “Trump ha vinto le elezioni”. Ritratto qualche tempo prima del fattaccio, però, mostrava un look molto più convenzionale, non solo mentre stringeva la mano a Rudy Giuliani, ex sindaco di New York, in un completo giacca e cravatta bianca, ma anche quando partecipava a una manifestazione pro Trump, con i ryban sugli occhi e i guanti alle mani come portano un po’ tutti gli esseri umani normali quando fa freddo.

Insomma quello indossato il 6 gennaio era un “abito di scena” assemblato per l’occasione con una certa ricercatezza. 

Siccome l’abito ogni tanto fa il monaco, i commentatori stanno provando a decifrare il caotico messaggio lanciato da quel corpo tatuato, da quel viso dipinto con i colori della bandiera Usa, dal copricapo di pelliccia, dall’elmo cornuto, dalle penne e dai pendenti. Completavano la mise caricaturale uno zainetto rosso sulle spalle, come un ragazzino che parte per il campeggio, un megafono da manifestazione anni Settanta in una mano, una patriottica bandiera americana nell’altra, tutto vivacizzato da un atteggiamento da metallaro senza borchie e da una bocca aperta nella smorfia compiaciuta dell’urlo. Così il complottista filotrumpiano ha ottenuto la scena internazionale.

Una caricatura, certo. Ma di chi? L’attenzione si è concentrata sulle corna e sui tatuaggi. 

L’elmo cornuto ricorda alcune foto, peraltro spesso molto dignitose, che ritraggono capi indiani in abiti da cerimonia ai primi del Novecento.

Ma Jack, quasi volesse proporre sulla sua testa una sintesi di storia americana, ha completato l’opera aggiungendo al copricapo che richiama la cultura nativo-americana due code di pelliccia che ricordano, semmai, i nemici, cioè  i pionieri bianchi alla conquista del west. 

Jake però, oltre che figlio di un capo indiano e di David Crockett, si è proposto anche come figlio di un vichingo. Non un vichingo vero, badate, ma ‘quel’ vichingo che ci è stato trasmesso dall’iconografia ottocentesca. Perché sia chiaro, non esiste alcuna prova che i pirati vichinghi o in genere gli uomini del nord Europa abbiano mai indossato elmi di quel genere. Il fatto è che l’immagine del vichingo cornuto e wagneriano, rilanciata dalla serie TV Vikings con tutto il corredo di corna, asce, teste rasate e abbigliamento da metallari, piace molto nel modo del suprematismo bianco americano perché richiama una prima scoperta dell’America, avvenuta intorno all’anno Mille. Altri padri, questa volta sicuramente esploratori nordeuropei, bianchi.

E tatuati. Sono senza dubbio d’ispirazione scandinava i tre triangoli intersecati, il martello di Thor e altri segni della mitologia nordica che abbiamo visto sul suo corpo.  Si tratta di simboli non da oggi sfruttati da parte di gruppi e associazioni suprematiste e razziste. Perché il motivo per cui Jake ha sfidato il freddo di gennaio presentandosi seminudo è stato che aveva da mostrare i suoi simboli tatuati, a chiaro supporto dell’immagine del virile uomo del nord, nudo fino all’inguine per mettere in bella mostra il pelo del ventre.

In una riflessione che è un piccolo capolavoro Umberto Eco ci ha parlato di un Medioevo immaginato come “luogo barbarico”, terra vergine di sentimenti elementari, epoca e paesaggio al di fuori di ogni legge, per vocazione a disposizione di ogni sogno di barbarie e forza bruta trionfante. Una visione sospetta di nazismo, perché “è nazista – scriveva – ogni vagheggiamento di una forza, eminentemente virile, che non sappia né leggere né scrivere”. Il Medioevo – aggiungeva – si presta mirabilmente a questi “sogni di un ritorno alla villosità incontaminata. Quanto più peloso il modello, tanto maggiore il vagheggiamento”. L’Hobbit, insomma, è modello umano solo “per i nuovi aspiranti a nuove e lunghe notti dei lunghi coltelli”.

Niente verità medievale, niente elmi vichinghi e nemmeno capi indiani, insomma, vanno cercati sul corpo e nella testa di Jake. La verità storica, in questa vicenda, è l’ultimo dei problemi. 

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