di Martina Narciso
Se sfogliamo il catalogo delle novità televisive e cinematografiche dell’ultimo anno e di quello a venire, troviamo dei titoli che alle nostre orecchie non risuonano poi così tanto nuovi.
Come quella sera che facendo disinteressatamente zapping alla televisione ci siamo casualmente imbattuti ne “Il conte di Montecristo” e non sapevamo ben identificare dove e quando, ma di sicuro da qualche parte in qualche momento già ne avevamo sentito parlare di questo certo signore. Oppure quando tra un programma e l’altro passava la pubblicità dell’attesissima prossima uscita di Netflix, e siamo rimasti sbigottiti nell’associare la colossale piattaforma di streaming a quel breve titolo polveroso de “Il Gattopardo”che la professoressa delle superiori ci costringeva a leggere per “farci una cultura”.
Allora decidiamo di ricucire il nostro ego ferito e per mettere una pezza su quelle lacune ci fermiamo e cerchiamo di farcela una volta per tutte quella benedetta cultura (è ancora possibile oggi parlare di “cultura” in televisione?). Un minuto e cambiamo canale, e poi un altro e un altro ancora, fin quando non tocca ammettere con nostra grande sorpresa che in effetti quel tale di Montecristo non era poi così barboso se i minuti sono diventati ore e davanti abbiamo i titoli di coda. Magari per l’impazienza, magari per la curiosità, forse anche per redimere il nostro io liceale, il giorno dopo tornando a casa timidamente decidiamo di fare un salto in libreria ed è già lì ad aspettarci, esposto in vetrina, il capolavoro di Alexander Dumas.
Così, dopo secoli, il romanzo torna ad avere un posto in prima fila fra i libri più venduti della settimana e la nuova copertina rieditata con gli attori che ne interpretano i personaggi ne chiarisce immediatamente il merito – il libro riempie gli scaffali, perché la serie televisiva riempie le case.
Sin dai suoi primi passi lo strapotere mediatico della televisione è stato facilmente intuibile, tanto da spaventare e far arretrare il suo più diretto concorrente: la parola scritta. Oggi, invece, l’eterna lotta tra i libri e gli schermi diventa sempre più vana, perché ormai sono quasi più alleati che rivali e, che piaccia o no, il linguaggio letterario inizia a somigliare sempre di più a quello mediatico.
Che la televisione prima e il cinema poi abbiano tratto sempre più spunto dai libri è un parere diffuso, ma diventa quasi un dato di fatto quando a parlare sono i numeri: nel Regno Unito nel 2023 delle nuove uscite televisive almeno 105 erano adattamenti cinematografici tratti da libri, e dei libri venduti nello stesso anno il 6% è stato acquistato perché conosciuto grazie a serie tv e film – percentuale che può sembrare irrisoria, ma che concretamente corrisponde a 21 milioni di copie acquistate.
Insomma, da un dibattito tra rivali si è arrivati quasi a una tregua non solo pacifica ma soprattutto vantaggiosa. Ciò che stupisce quindi è, forse, non tanto l’ispirazione intermediale e il compenso reciproco, quanto la cadenza sempre più assidua di riproporre sugli schermi non libri qualunque, ma i grandi libri della letteratura, i colossi, le colonne fondanti, i cosiddetti “classici”. Parliamo di Il Conte di Montecristo, Il Gattopardo, Frankenstein, Cime Tempestose, Orgoglio e Pregiudizio e Ragione e Sentimento, se vogliamo fermarci alle uscite di quest’anno e dei primi mesi del prossimo, perché se andassimo a ritroso negli anni incontreremmo anche Cent’anni di solitudine, Romeo e Giulietta, Dracula, Piccole Donne, Il Grande Gatsby e Anna Karenina per dirne alcuni e non allungare la lista a dismisura.
Quello di riadattare i classici della letteratura a serie tv, film e mini serie sembra una tendenza del momento e si sta quasi sempre più imponendo come fenomeno culturale che contemporaneamente attrae e arretra. I lettori si indignano per le trasposizioni ingiuste e i cinefili si appellano alla parola “riadattamento” per giustificare la non-fedeltà ai testi sacri della letteratura. Un’eterna lotta che potrebbe trovare una risoluzione se la si cercasse camuffando per un momento la devozione cieca per i libri e gli schermi e riconoscendo il debito che gli uni hanno per gli altri.
Perché, checché se ne dica, la miniserie franco-italiana de Il Conte di Montecristo andata in onda su Rai 1 a gennaio 2025 ha tenuto incollati agli schermi quasi 6 milioni di spettatori a discapito dei soli 2,3 per Il Grande Fratello. Ed è una coincidenza che, pubblicato nel 1846, il romanzo di Alexander Dumas ritorni ora nel 2025 tra le classifiche dei 100 libri più acquistati dell’anno? Perché, checché se ne dica, se avessimo fatto un salto in libreria a fine marzo saremmo stati circondati dallo stemma di famiglia dei principi di Lampedusa che è la copertina de Il Gattopardo, rieditata apposta dagli editori in occasione della nuova miniserie di Netflix tratta dalla storia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
E se qualcuno dei maturandi 2025 è riuscito a cimentarsi con fiducia nella traccia sul Gattopardo non ha dovuto di certo ringraziare le proprie insegnanti quanto il proprio piglio di curiosità che li ha portati a spostare lo sguardo dai fotogrammi della serie Netflix alle pagine del libro di Tomasi. Casualità anche che il 18 agosto Rai 3 abbia mandato in onda la versione de Il Gattopardo di Luchino Visconti del 1963 (tra i preferiti di Scorsese) che già ai suoi tempi sbancò al botteghino con 12 milioni di spettatori?
Salgono le aspettative anche per gli attesissimi Frankenstein di del Toro e “Cime Tempestose” di Emerald Fennel, che già hanno iniziato a spingere il pubblico curioso e contrariato, mosso da biasimi e stroncature, a mettere le mani sugli omonimi romanzi per decretarne la buona riuscita o il fiasco.
Polveroni di critiche e perplessità si sollevano per queste interpretazioni e re-interpretazioni, ma ormai in un mondo sempre più dinamico e mediatico non si può più prescindere dallo strapotere degli schermi e, che piaccia o no, forse per il bene della cultura giova più cavalcarlo quel traino mediatico, piuttosto che contrastarlo. Certo, occorre munirsi di intuito e ingegno, perspicacia e accortezza per non inciampare nel rischio di consumo passivo, ma è anche bene riconoscere che per quanto i classici siano senza tempo se si vuole davvero ergerli a educatori sentimentali degli uomini è necessario che si pieghino e si adattino al tempo degli uomini e ai loro mezzi, e nel nostro tempo questi sono i nostri mezzi.
Del resto, alla fine, fedele al testo o no, non è una conquista che in prima serata Il Conte di Montecristo sia entrato in casa di sei milioni di italiani al posto della misera serie due del Grande Fratello?