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"Bastarde Disperate" in un Messico difficile

Dahlia De La Cerda, è riuscita perfettamente nell’intento di raccontare finalmente il Messico odierno, con il suo immancabile corredo di violenze inaudite e speranze tradite, attraverso gli occhi, le parole, la mente e, soprattutto, il corpo delle donne

"Bastarde Disperate" in un Messico difficile
Dahlia De La Cerda
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26 Marzo 2023 - 22.10 Globalist.it


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di Rock Reynolds

Quando il crimine organizzato finisce per essere più forte dello stato, permeandone ogni aspetto, ecco che le sue malsane diramazioni si sostituiscono o, quanto meno, si affiancano alle istituzioni stesse. Le organizzazioni malavitose, in tal modo, dettano legge, facendo leva sui classici strumenti dell’antistato: lusinghe, bustarelle, minacce e vere e proprie violenze. Ci sono paesi come l’Italia che vantano, si fa per dire, una lunga e radicata tradizione nel campo della malavita organizzata, senza peraltro che mafia, ‘ndrangheta, sacra corona unita e camorra abbiano mai realmente rimpiazzato lo stato. Certo, il crimine da noi si è insinuato nei recessi più fragili del paese e ha cercato di colonizzarne le aree più difficili e di sfruttare a proprio vantaggio le pieghe grigie della legge, ma non ne ha mai del tutto preso il posto.

In certe zone del mondo, invece, lo stato rischia di essere realmente un gigante dai piedi d’argilla, un’istituzione completamente piegata agli interessi di potentati economici che prosperano grazie ai proventi di ogni sorta di attività illecita e che si avvalgono di vere e proprie strutture militari parallele, bande di pretoriani che spesso si affiancano a forze dell’ordine e strutture militari prezzolate. E il popolino vive nel terrore e nell’idolatria dei grandi boss del narcotraffico che non è infrequente vedere a cena con politici di primo piano e grandi funzionari pubblici.

Sembra la fotografia del Messico di oggi, uno stato che vive all’ombra del vicino ricco, gli Stati Uniti, e che stenta a uscire dalla palude dei disastri postcoloniali, con una corruzione dilagante nella classe politica e lo strapotere dei clan a cui nessuno dei governi che si sono succeduti sembra essere riuscito a mettere un freno.

Non ci furono grandi passi avanti sulla strada della democrazia nemmeno dopo un fatto eclatante come la barbara sparizione e uccisione di una cinquantina di studenti – ancor oggi le cifre ballano – nel 2014 nei pressi della città di Iguala, una vicenda terribile in cui l’unica cosa certa è la partecipazione attiva del sindaco e di sua moglie, oltre che delle forze dell’ordine, all’uccisione e al rapimento dei ragazzi. Il lavoro sporco venne fatto, sembra, da un’organizzazione malavitosa locale, ma il tutto avvenne in spregio del minimo rispetto dei diritti umani su cui dovrebbe fondarsi una democrazia moderna.

Con i suoi centotrenta milioni di abitanti disseminati su un territorio enorme, il Messico soffre di atavici problemi che lo accomunano a innumerevoli altre ex-colonie. Le estreme sperequazioni tra i pochi super ricchi e la sterminata schiera dei diseredati – causa e conseguenza dell’ascesa sfrenata dei potentati malavitosi – ha dato origine a un’abbondante tradizione cinematografica e letteraria, soprattutto di confine. In fondo, a Hollywood poco importa del povero campesino mangia-fagioli che, però, è ottimo materiale narrativo se cerca riparo nell’El Dorado degli Stati Uniti e se finisce irretito nel gorgo della malavita oltreconfine. E, naturalmente, in questo quadro di disperazione, le categorie deboli sono quelle che hanno la peggio. Fra quest’ultime spicca la donna.

E Bastarde disperate (Solferino, traduzione di Sara Cavarero, pagg 176, euro 17), una raccolta di racconti che hanno una matrice, uno sviluppo e persino alcuni personaggi in comune, è un’opera davvero al femminile. A partire dalle bellissima copertina L’autrice, Dahlia De La Cerda, è riuscita perfettamente nell’intento di raccontare finalmente il Messico odierno, con il suo immancabile corredo di violenze inaudite e speranze tradite, attraverso gli occhi, le parole, la mente e, soprattutto, il corpo delle donne. Perché sono le donne le protagoniste assolute delle sue storie: donne ostinate, forti, fragili, mai dome, leali, una luce di speranza in un mondo dominato da violenze di cui possono essere vittime ma pure carnefici.

La prosa di Dahlia non fa sconti. Fin dalle prime righe, il lettore sa a cosa andrà incontro. A differenza, però, di molti romanzi e film contemporanei sul Messico e, soprattutto, sul border – che Donald Trump ha più volte promesso che avrebbe protetto con un muro epico – una nota di cupo umorismo, se non di velata speranza, affiora. Forse, perché la donna è vita. Persino quando, come succede nel primo racconto, decide di uccidere il bimbo che le cresce nel ventre. Una scelta dolorosissima e contrastata che, la protagonista, affronta a testa alta, in solitudine, strappando un sorriso al lettore ma pure a se stessa, per farsi forza.

Qualcuno si ricorderà senz’altro il film Bordertown con Jennifer Lopez e Antonio Banderas in cui si narra una storia ispirata a vicende vere, ovvero la sparizione e la morte violenta di molte giovani donne messicane a Ciudad Juarez, nell’indifferenza delle istituzioni. Anche in quel caso, si tratta di un racconto al femminile, ma le Bastarde disperate di Dahlia De La Cerda se ne scostano, eclissando completamente ogni figura maschile che finiscono per essere quasi un mero contorno, nonostante dalla loro posizione di forza, violenza, sopraffazione, gelosia patologica dipenda la vita stessa di quelle donne. Ci sono figlie e/o amanti di boss, donne avvezze a una vita nel crimine. Come Costanza, la cui famiglia si muove tra le maglie del potere ufficiale, con un padre senatore, e quelle della malavita organizzata e l’unica cosa che le prema è il potere stesso. «Mi hanno educata per stare al potere» dice. Ci sono pure donne della malavita a cui il fidanzato potente non nega nulla: abiti di lusso, gioielli, macchine costose, animali esotici e proibiti, uno stuolo di lacchè e donne di compagnia, da vera corte reale. Ma ci sono pure donne assuefatte al potere, che si accontentano di un’amica e altre che l’amica la vogliono pure nel proprio letto.

Si diceva che c’è comunque un filo di ironia sottile che percorre questi racconti. Ed è proprio tale leggerezza a impedire che tutta la violenza che fa da immancabile corollario alle storie risulti indigesta. Come quando la figlia di un boss chiede alla sua guardia del corpo e dama di compagnia, che è pure una killer spietata ed efficiente, di ammazzarle il protetto del comandante che aveva a sua volta ucciso la sua migliore amica. In cambio, oltre a coprirla di soldi, le farà «scrivere un corrido», una canzone popolare che a me ricorda tanto la musica dei neo-melodici napoletani, e le costruirà «una supertomba lussuosa». O come quando un’altra ragazza dialoga con l’amica morta suicida dopo uno stupro di gruppo, raccontandole di aver rischiato di perdere la testa e di aver dovuto far ricorso alla psicoterapia. E la psicologa non le ha fatto sconti, dicendole, «Forse è questa la tua missione. Mettere insieme le ossa di donne morte, dargli forma, raccontare le loro storie e poi lascarle correre libere ovunque debbano andare».

Ma se a dare forma alle ossa e ai ricordi è una donna nella pienezza della sua natura, una speranza dietro l’angolo c’è sempre. Perché, come scrive Dahlia De La Cerda, «Essere donna è uno stato d’emergenza».

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