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Castellana: "Tozzi e Bianciardi, scrittori sradicati e dalla vena anarchica"

Coincidenze letterarie. Gli anniversari di due grandi scrittori toscani saranno ricordati con molteplici iniziative di valore nazionale. Ne parla il docente di letteratura italiana dell’ateneo senese

Castellana: "Tozzi e Bianciardi, scrittori sradicati e dalla vena anarchica"
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21 Gennaio 2021 - 10.52


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di Manuela Ballo
Su due importanti scadenze che riguardano figure di primo piano della letteratura e della cultura italiana, entrambi toscani – i cento anni della nascita di Federigo Tozzi e i cinquanta anni dalla scomparsa  di Luciano Bianciardi – abbiamo intervistato il professor Riccardo Castellana, docente di Letteratura italiana contemporanea dell’Ateneo senese e responsabile scientifico delle iniziative celebrative promosse dal Comitato su Tozzi e da sempre attento studioso della produzione letteraria di Bianciardi.  
Per una serie di coincidenze si incrociano, in quest’ anno pandemico, due rilevanti anniversari di esponenti di primo piano della cultura toscana e Nazionale del ‘900, Federigo Tozzi e Luciano Bianciardi. Lei è responsabile del comitato scientifico per i cento anni di Tozzi e fa parte anche del comitato per le celebrazioni di Luciano Bianciardi. Un impegno arduo sul piano scientifico e organizzativo, tanto più con i tempi che corrono.  A che punto siamo sui due fronti?
Sì, nel 2021 si incrociano o si sfiorano due anniversari importanti. Il centenario della morte di Federigo Tozzi è stato nel 2020, ma ovvie ragioni ci hanno impedito di festeggiarlo. Il cinquantenario bianciardiano, invece, farà da ponte a un altro e più importante anniversario, quella della nascita, avvenuta nel 1922: e nel 2022 saranno concentrate le manifestazioni più rilevanti. Congiunture astronomiche a parte, mi sembra importante sottolineare quel che i due autori hanno in comune, e cioè una vena anarchica e irriducibile agli schemi tradizionali, un atteggiamento da outsider e da sradicati. Perché è verissimo che in quasi tutti i suoi romanzi Tozzi parla di Siena, ma lo fa da un punto di vista che non è più quello della sua città, bensì quello di Roma, dove si trasferisce nel 1914 e dove muore, appunto, nel 1920. Bianciardi lascia Grosseto negli anni Cinquanta per una grande città, Milano; e anche lui lo fa perché ormai la Toscana non offre più impieghi in quello che lui stesso ha battezzato il “lavoro culturale”. Sarebbe interessante rileggere i grandi scrittori toscani (e potremmo fare anche i nomi di Bilenchi o di Mario Luzi) cercandovi la maturazione di una consapevolezza: la grande tradizione culturale regionale resiste, se vogliamo, fino alle riviste del primo Novecento come La Voce, e si conclude negli anni trenta e Quaranta del 900, con Montale che, a Firenze, scrive Le occasioni e con l’ermetismo fiorentino che prende quel libro a modello. Dal secondo dopoguerra in poi, la Toscana diventata culturalmente marginale rispetto ai grandi poli editoriali nazionali (Milano, Torino, Roma).
In città in particolare, c’è molta attesa per le iniziative su Federigo Tozzi. Erano già state programmate numerose iniziative pubbliche che sono state impossibili da realizzare. Starà sicuramente lavorando ad un piano B, a lavorare come tutti in questa fase con gli ambiti digitali.   Come cambieranno le iniziative e cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi mesi?
Rimedieremo appunto nel corso di quest’anno, con una serie di incontri a distanza con studiosi come Marco Marchi e Maria Antonietta Grignani, e scrittori come Alessandro Zaccuri. Il 29 gennaio, inoltre, si terrà (sempre online) il convegno sulle traduzioni da Federigo Tozzi organizzato dalla Université de Paris Nanterre, dall’Università di Siena e dal Comitato per il centenario. Non appena sarà possibile, inoltre, si terrà anche il reading di Alessandro Benvenuti e per l’autunno avremo la mostra al Santa Maria della Scala: una mostra incentrata non solo sulle carte e i libri di Federigo, ma anche sulla sua cultura figurativa, che era assai notevole e spesso fondata su rapporti di amicizia con scultori come Patrizio Fracassi e pittori come Lorenzo Viani. Ci saranno poi anche altre sorprese, che per ora non posso rivelare, ma avremo anche un graphic novel tratto da un romanzo di Tozzi.
È noto il rilevante progetto di pubblicazione delle opere complete di Tozzi, i primi volumi sono già in libreria e il terzo, da quel che si legge, è in lavorazione. Come procede questo progetto specifico finanziato dal ministero e dalle università che mira a far conoscere meglio e di più le opere di questo autore?
L’edizione nazionale dell’opera omnia di Federigo Tozzi è stata promossa dal Ministero dei beni culturali ed ha la particolarità di riproporre tutti gli scritti dell’autore senese in edizione critica e genetica. Ciò vuol dire non solo che avremo dei testi scientificamente accertati ma anche che potremo entrare nel laboratorio dello scrittore, leggere le varianti scartate, gli abbozzi, ripercorrere l’itinerario compositivo. Sono usciti sinora le novelle di Giovani (a cura di Paola Salatto) e il romanzo Gli egoisti (a cura di Tania Bergamelli). La pandemia ha rallentato anche i lavori di edizione, ma sono attualmente in cantiere Il podere, Bestie, Tre croci, Adele  e alcuni carteggi. La scommessa è quello di concludere l’Edizione Nazionale entro il 2021. 
Quando si parla di Tozzi tra i giovani si trovano scarsi riscontri sulla conoscenza delle sue opere. Perché, secondo lei, l’opera di un così grande scrittore si è affermata in maniera minore rispetto ad altri autori dello stesso periodo? Qual è il suo giudizio in merito?
Vede, è un problema di canone scolastico. All’università Tozzi è un autore molto studiato, anche all’estero (il convegno di gennaio è stato promosso, appunto, da un’università francese). Grandi critici come Giuseppe Antonio Borgese, Antonio Debenedetti, Luigi Baldacci, Romano Luperini se ne sono occupati e hanno scritto pagine illuminanti su di lui. Però la riscoperta di Tozzi è avvenuta troppo tardi (intorno agli anni Settanta) perché lo si potesse inserire in un canone che ormai si era cristallizzato, almeno per il primo Novecento. E poi è vero che i giovani lo conoscono poco, ma quando faccio leggere Con gli occhi chiusi ai miei studenti molti di loro riescono ad immedesimarsi in una vicenda che in qualche modo li riguarda, e restano colpiti da una scrittura violenta ed espressionistica.
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