Fabrizio Catalano: "La grande lezione di mio nonno Sciascia è di opporsi al potere" | Culture
Top

Fabrizio Catalano: "La grande lezione di mio nonno Sciascia è di opporsi al potere"

L'attore, regista e nipote ricorda la funzione etica e morale del grande scrittore: "L'Italia oggi è soffocata dal politicamente corretto". E ha scritto il libro "Il tenace concetto" con Parini e Amendola

Fabrizio Catalano: "La grande lezione di mio nonno Sciascia è di opporsi al potere"
Preroll

admin Modifica articolo

7 Gennaio 2021 - 11.36


ATF

di Manuela Ballo

Fabrizio Catalano, attore e regista, e nipote di Leonardo Sciascia: chi meglio di lui per conversare sulle molteplici iniziative che si terranno per celebrare i cent’anni dalla nascita del grande intellettuale e scrittore, l’8 gennaio 1921? Tra l’altro è autore, insieme a due sociologi della letteratura, Parini Ercole Giap e Alfonso Amendola, del libro ” Il tenace concetto”, una rilettura a più voci dell’opera di Sciascia riletta con gli occhi di chi vive le contraddizioni dell’attuale società (Rogas edizioni, € 11.70).  

Che effetto le ha fatto misurarsi con la rilettura di un’opera così importante, non soltanto come operatore culturale, ma anche perché nipote di Leonardo Sciascia?
Molto piacere, naturalmente. Ho sempre vissuto questa parentela come un privilegio e mai come un peso. Certo ho avvertito il peso della responsabilità, ma l’ho avvertita felicemente, perché di là dalle mie maggiori o minori capacità tecniche, il fatto di aver passato i primi quattordici anni della mia vita molto vicino a questa persona, mi ha messo nelle condizioni di dare qualcosa in più agli spettacoli che man mano facevo.
Nell’opera di Leonardo Sciascia la dimensione letteraria è sempre, intrinsecamente legata alla sua funzione d’intellettuale. Quale lezione morale, secondo lei, ci ha lasciato?
Mio nonno, come altri scrittori della sua generazione – pensi a Vincenzo Consolo – ha sempre teorizzato che il dovere dell’intellettuale era quello di opporsi al potere. Ho sentito ripeter questo fin dall’infanzia. Credo che questa sia la grandissima lezione, e che sia, al contempo, la principale ragione per la quale lui ci manca. Oggi non si oppone più nessuno, tutto è conformismo e omologazione.

Scriveva, cioè, tenendo gli occhi ben aperti su ciò che stava accadendo nella sua terra, la Sicilia, e nel nostro Paese.
“Nel cavaliere e la morte” a un certo punto il protagonista afferma che la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini. E l’altro però risponde: di tutti i cittadini, anche di quelli che spargendo insicurezza si credono sicuri. Un passaggio che testimonia la devastante attualità dell’opera di Leonardo Sciascia: coglie non solo quello che stiamo vivendo, ma anche ciò che tiene in vita la nostra speranza.  Prendiamo ciò che accade oggi. L’insicurezza che da qualche anno è sparsa a piene mani, da qualche mese in maniera invereconda, potrà ritorcersi contro chi la sparge? L’Italia oggi è soffocata dal politicamente corretto, però, se ci pensiamo, l’arte italiana è tutta politicamente scorretta, Dante ha scritto la “Divina commedia” per vendetta, Caravaggio lo era, Botticelli in un mondo in cui tutti dipingevano madonne decide di dipingere la Venere.  Essere politicamente scorretti vuol dire spingere le persone a riflettere su ciò che il potere non vorrebbe portare sulla scena pubblica.

E’ stata questa la molla che vi ha portato a scrivere “Il tenace concetto”, il volume appena presentato?
Durante la quarantena, con due sociologi della letteratura, il professor Ercole Parini e Alfonso Amendola, ci siamo dedicati a un esercizio di stile dal quale è venuto fuori questo libro che, tra le altre cose, prova a rileggere l’attualità alla luce di quello che ha scritto Sciascia. Si potrebbe dire che molto di quello che sta accadendo, era stato previsto. Abbiamo intravisto gli anticorpi contro le degenerazioni che esistono, ma abbiamo visto che esiste anche una reazione a questa società che crede che nulla potrà mai cambiare. Penso, invece, che il cambiamento sia prossimo. Tutti sappiamo che la società in cui viviamo è sbagliata, ma tutti sostengono che non esista un altro modello sociale. Non è così: un giorno chi studierà questo periodo della storia guarderà con orrore un mondo basato sul concetto di profitto illimitato.

E’ contento di come il suo paese natale e la Sicilia in genere stanno rendendo omaggio a un personaggio che ha reso questa terra ulteriormente importante? E ritiene che queste iniziative dovrebbero essere allargate anche sul piano nazionale?
La Sicilia e l’Italia hanno con Sciascia un rapporto controverso.  Se parlo di Sciascia posso constatare che almeno un cinquanta per cento degli interlocutori lo percepisce con fastidio, in quanto voce scomoda. Si tratta di fastidio un po’ irragionevole.  Molti concittadini dicono: allora Racalmuto è solo Sciascia? Sono fatti oggettivi, non avremmo mai sentito parlare di Recanati se non ci fosse stato Leopardi così come non avremmo sentito parlare di Racalmuto se non ci fosse stato Sciascia. Le commemorazioni vanno bene a livello locale, nazionale e sicuramente ce ne saranno tante, ma il problema è sfuggire la retorica ed essere sinceri, non commemorare Sciascia solo per saltare sul carro dei vincitori.
Negli ultimi anni della sua vita mio nonno rifiutò un contratto di 5 miliardi alla Mondadori, dicendo al direttore: voi con queste cifre non comprate i miei libri ma comprate me. E lo disse con lo stesso tono con cui avrebbe detto “io il caffé dopo le cinque non lo bevo”. Quanti di noi avrebbero rifiutato? Stiamo parlando di cifre che cambiano le vite per generazioni. Ecco, chi vuole candidarsi a essere erede di Sciascia deve chiedersi se avrebbe la forza di rifiutare, oggi, 5 miliardi.

Native

Articoli correlati