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Cesare Pavese poeta «immorale» per la censura fascista

Einaudi pubblica una nuova edizione, introdotta da Tiziano Scarpa, delle poesie. Negli anni '30 il regime impose tagli: ecco un esempio

Cesare Pavese poeta «immorale» per la censura fascista
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11 Agosto 2020 - 15.13


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Cesare Pavese poeta fu censurato dalla censura fascista per i rimandi all’eros, non per la politica: lo scrittore la considerò quasi un’onta. Nel ripubblicare tutte le opere dell’autore piemontese Einaudi ha dato alle stampe nei tascabili tutte le poesie con un’ampia introduzione di Tiziano Scarpa, note di Marziano Guglielminetti e di Mariarosa Masoero, con la cronologia della vita e delle opere (Le poesie, pp. LXXVI – 402, € 14,00). Non guasterà pertanto ricordare come e quanto i regimi possano essere ottusi.

Dalla prima edizione pubblicata dalle Edizioni Solaria di Firenze nel 1936 lo scrittore dovette eliminare alcune poesie: «Cancello, come vedi, “Il dio caprone”, “Pensieri di Dina”, “Balletto” e “Paternità”. Così il volume potrà ormai servire da libro di preghiere per una vergine», scriveva con sarcasmo in una lettera dal confino in Calabria all’editore e direttore della rivista Solaria Alberto Carocci il 16 settembre 1935. Nella sua introduzione Scarpa cita invece una lettera scritta l’11 marzo dello stesso anno e sempre destinata a Carocci: «Mi attendevo l’onore della censura politica, e quelli me la fanno puritana. Ci voleva tutto l’insatirimento di un censore per vedere nel drizzarsi della bestia un simbolo dell’erezione». Annota Scarpa nel suo saggio: «Solo Una generazione delle tre sospettabili (politicamente, ndr) veniva censurata; altre sei, e specialmente il Dio-caprone, dovevano ritenersi immorali». Che Una generazione sia caduta sotto la mannaia non stupisce, quando contiene versi come «In prigione / c’è operai silenziosi e qualcuno è morto». Che l’autore abbia dovuto eliminare testi come Il dio-caprone conferma invece l’ottusità del regime mussoliniano. A titolo di esempio, eccone di seguito il testo.

Il dio-caprone

La campagna è un paese di verdi misteri
al ragazzo, che viene d’estate. La capra, che morde
certi fiori, le gonfia la pancia e bisogna che corra.
Quando l’uomo ha goduto con qualche ragazza
hanno peli là sotto il bambino le gonfia la pancia.
Pascolando le capre, si fanno bravate e sogghigni,
ma al crepuscolo ognuno comincia a guardarsi alle spalle.
I ragazzi conoscono quando è passata la biscia
dalla striscia sinuosa che resta per terra.
Ma nessuno conosce se passa la biscia
dentro l’erba. Ci sono le capre che vanno a fermarsi
sulla biscia, nell’erba, e che godono a farsi succhiare.
Le ragazze anche godono, a farsi toccare.

Al levar della luna le capre non stanno più chete,
ma bisogna raccoglierle e spingerle a casa,
altrimenti si drizza il caprone. Saltando nel prato
sventra tutte le capre e scompare. Ragazze in calore
dentro i boschi ci vengono sole, di notte,
e il caprone, se belano stese nell’erba, le corre a trovare.
Ma, che spunti la luna: si drizza e le sventra.
E le cagne, che abbaiano sotto la luna,
è perché hanno sentito il caprone che salta
sulle cime dei colli e annusato l’odore del sangue.
E le bestie si scuotano dentro le stalle.
Solamente i cagnacci più forti dàn morsi alla corda
e qualcuno si libera e corre a seguire il caprone,
che li spruzza e ubriaca di un sangue più rosso del fuoco,
e poi ballano tutti, tenendosi ritti e ululando alla luna.

Quando, a giorno, il cagnaccio ritorna spelato e ringhioso,
i villani gli dànno la cagna a pedate di dietro.
E alla figlia, che gira di sera, e ai figli, che tornano
quand’è buio, smarrita una capra, gli fiaccano il collo.
Riempion donne, i villani, e faticano senza rispetto.
Vanno in giro di giorno e di notte e non hanno paura
di zappare anche sotto la luna o di accendere un fuoco
di gramigne nel buio. Per questo, la terra
è così bella verde e, zappata, ha il colore,
sotto l’alba, dei volti bruciati. Si va alla vendemmia
e si mangia e si canta; si va a spannocchiare
e si balla e si beve. Si sente ragazze che ridono,
ché qualcuno ricorda il caprone. Su, in cima, nei boschi,
tra le ripe sassose, i villani l’han visto
che cercava la capra e picchiava zuccate nei tronchi.
Perché, quando una bestia non sa lavorare
e si tiene soltanto da monta, gli piace distruggere.

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