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Che “piccola catastrofe” il primo Natale tedesco di Maruša Krese

Pubblichiamo un’originale storia natalizia narrata della scrittrice e psicoterapeuta slovena dalla raccolta “Tutti i miei Natali”

Che “piccola catastrofe” il primo Natale tedesco di Maruša Krese
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23 Dicembre 2019 - 14.23


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Il racconto di Natale, genere in cui gli scrittori anglosassoni eccellono e dove primeggia Charles Dickens con la sua storia sull’avaro Scrooge, solo nelle forme più convenzionali è zuccheroso. E ha validi esponenti anche in altre lingue oltre all’inglese. Prendete Maruša Krese, eclettica figura nata a Lubiana nel 1947, morta nel 2013: era poetessa, scrittrice, giornalista e psicoterapeuta (praticava la terapia della Gestalt). Su gentile concessione dell’editore vi proponiamo un ampio estratto da “Il nostro primo Natale tedesco”, racconto inserito in Tutti i miei Natali (Besa Livio Muci editore, pp. 124, € 14,00, traduzione di Lucia Gaja Scuteri).

Come altri testi della raccolta Maruša Krese esercita uno sguardo disincantato, disilluso, ironico anche sui rituali, sulla famiglia, su se stessa e sul marito “intellettuale di sinistra”, sulle peregrinazioni intorno alle ricorrenze natalizie che, nelle sue pagine, si intrecciano alle vicende geopolitiche d’Europa. Dal 1981 la scrittrice visse in Germania, dal 1990 a Berlino. Nel 1997 ricevette l’Ordine al merito di Germania per il suo impegno umanitario durante la guerra in Bosnia-Erzegovina.

Maruša Krese: Il nostro primo Natale tedesco

Cucio piccole tende, avvito lampadine e intreccio tappeti per la casa delle bambole di Ana. Compro un piccolo fornello, una pentola, il frigo, il soggiorno, la camera da letto, dei piccoli studi, le stanze per bambini, altalene per il giardino e una piscina da mettere nello scantinato. Di fatto compro tutto quello che non abbiamo o che con molta probabilità non avremo mai. Compro pure una culla con tanto di neonato? No, non ancora, aspetterò un altro po’. Trascorro così tutta la notte inginocchiata davanti alla casetta di legno, sposto i mobili di qua e di là e preparo persino una stanza per stirare e cucire in cantina. La casetta per Ana. Mi prega sempre di comprare un vero divano per il soggiorno. Non uno moderno italiano, bensì uno morbido in pelle, anzi ancora meglio in pelle sintetica, di quelli su cui ti ci butti sopra e poi per ore e ore non riesci più ad alzarti. Un divano per tutta la famiglia, dice Ana.

Credo che la casetta sia più o meno a posto e che possa mettermi a preparare il regalo per David. I lego. Ma in realtà lui vorrebbe una batteria. Già ora mi si stringe lo stomaco al pensiero dei suoi occhi quando vedrà un giocattolo per bambini invece della batteria. Posiziono i regali sotto l’albero di Natale che i bambini hanno finito di addobbare già nel pomeriggio. Sposto le cose di qua e di là e poi di nuovo di là e di qua. Accidenti, perché non l’ho presa la batteria per David? Lui sarebbe stato contento e io sarei stata tranquilla e la vita, almeno per qualche giorno, sarebbe stata semplice. Tanto oramai è chiaro che un giorno di sicuro finirò per comprargliela davvero. Adesso posso andare a dormire. L’alba sorgerà da un momento all’altro. So già che non mi addormenterò.

Questo è infatti il nostro primo Natale tedesco. Una catastrofe minore. Non appena siamo arrivati in questo paese è morto mio padre e David ha smesso di cantare. Ha cantato per un’ultima volta al funerale e poi mai più. Ana si rifiuta di parlare tedesco e per questo tutti i bambini della sua classe parlano in inglese. Evidentemente questa mia figlia è fatta di ferro. E io? Meglio che dimentichi la mia solitudine. Per la prima volta nella vita mi fa costantemente male la testa. Per la prima volta nella vita prendo l’aspirina e non dormo la notte. A parte questo è tutto a posto, stiamo festeggiando il nostro primo Natale tedesco. C’è da dire che, in realtà, siamo in ritardo di qualche giorno, ma non ce ne importa affatto. Solo peccato, peccato che non abbia comprato quella batteria.

Non riesco a dormire. Perché non ho fatto tutto un po’ più in fretta? Ora saremmo potuti essere già a Lubiana. Mi sono dedicata troppo al cucito, sono stata troppo presa dall’infornare biscotti e ancor di più, devo ammetterlo, mi sono immersa nella cultura tedesca. Per le feste di Natale, per tre giorni di seguito, alla televisione hanno trasmesso i film di Sissi, l’imperatrice austriaca. Con Romy Schneider nel ruolo protagonista e così via. Non avevo mai visto nessuno di questi film e tutti i miei conoscenti tedeschi ne erano molto sorpresi. E suo marito Francesco Giuseppe, e l’Austria, l’Ungheria e le Alpi e il Danubio e la malattia di Sissi. Persino la malattia è più facile se sei ricco. Ed è così che ho festeggiato il Natale con uno o due giorni di ritardo, ma lo ammetto solo a me stessa. In realtà non so se sono completamente onesta con me stessa. Qui in Germania ho dei pazienti. Faccio miracoli, dallo psicodramma al tai-chi, dallo yoga alla bioenergia. Mi sono abituata con difficoltà alla profondità delle anime tedesche, no, non sono profonde, non so come potrei dire, forse che penetrano in profondità, che in ogni caso penetrano proprio in un punto in cui non c’è alcuna profondità. Per non parlare della loro disciplina. Il mio più grande successo terapeutico sta nel fatto che a una seduta psicoterapeutica di gruppo della durata di un’ora, se sono in ritardo di quindici minuti nessuno mi riprende, nessuno mi dice niente. Ma è anche vero che questo accade molto di rado e, quando succede, per i successivi quindici giorni sono felice. Il che significa che in questo paese sono diventata estremamente modesta. Io gli do il tai-chi e loro mi danno il piacere del fare tardi e Sissi. A dire il vero è un buono scambio, le cose sono equamente suddivise.

Al mattino mi svegliano allegre voci infantili. David, grazie al cielo, si è dimenticato della batteria ed è tutto contento dei nuovi giochi colorati. Ana porta la sua nuova famiglia a spasso, mentre io sono di cattivo umore. Devo di nuovo fare le valigie. Non ne posso più di tutti questi traslochi in giro per il mondo e non soffro più neanche la vista di valigie, zaini o borsoni. Per ore cammino su e giù per la casa e rimugino su cosa portare con me. Ultimamente riempio le valigie di qualsiasi cosa mi capiti sottomano e così abbiamo sempre così tanti bagagli che non ci entrano tutti in macchina. E anche i regali per Lubiana e poi anche Ana e David che vogliono portarsi dietro i loro nuovi averi. E poi finisce che litighiamo. Sto male al pensiero di tutto, sto male per le mie decisioni razionali, perché si sono sempre, ma davvero sempre, rivelate completamente sbagliate. La vita è proprio un piacere continuo.

Il mio nuovo marito è terribilmente nervoso, anzi, al limite dell’isteria. Si dice sia di solito una malattia femminile, ma io non ne sono tanto convinta. Non so perché insista di nuovo nel venire con noi a Lubiana. Poi bisogna di nuovo occuparsi solo di lui e parlare in inglese. Non si fa convincere in alcun modo che ha anche lui dei parenti. Non mi concede neanche quel po’ di relax mentale e poi non sa proprio guidare.

Avanziamo in macchina tra neve, pioggia battente e in mezzo al traffico. I bambini dormono oppure canticchiano oppure hanno fame oppure devono andare in bagno. Chiedono quanti chilometri manchino fino a Lubiana, perché non siamo partiti il giorno prima. Semplicemente, cari miei, perché stavo guardando Sissi. A mio marito, intellettuale tedesco di sinistra, viene quasi un infarto.

Alla fine tra ghiaccio e neve in qualche modo riusciamo a raggiungere il confine sulla cima della montagna. Tutta la famiglia sta seduta in macchina con me alla guida. Oltrepassiamo auto ferme che non si spostano di un millimetro e persone che spingono invano le auto in salita, su per la montagna e sul ghiaccio. Al confine tiro un sospiro di sollievo; finché non arriviamo alla dogana. Gli agenti jugoslavi stavolta hanno deciso che ci faranno scontare di tutto e di più. Gastarbeiter, i lavoratori ospiti temporanei, jugoslavi, turchi, greci e chissà, forse anche iraniani, tutti sono fermi al confine e imprecano contro lo stato jugoslavo. E io con loro. David, spaventato, chiede: “Mamma, mamma e se il compagno Tito ti sente dal cielo?”.

Estratto dal racconto Il nostro primo Natale tedesco contenuto nel libro Tutti i miei Natali di Maruša Krese. Traduzione di Lucia Gaja Scuteri © 2019 Besa Muci. Per gentile concessione

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