Sulla bomba messa da neofascisti il 12 dicembre 1969 alla Banca nazionale dell’agricoltura a Milano, e sui depistaggi e gli sforzi per occultare la verità di parte della magistratura e della politica, è in libreria anche volume di un giornalista provetto, Enrico Deaglio. Un libro che ha raccolto apprezzamenti ed elogi per come e quanto approfondisce una vicenda, e i suoi mille rivoli, dove i colpevoli non sono finiti dietro le sbarre: La bomba. Cinquant’anni di piazza Fontana (Feltrinelli, 295 p., ill. , € 18,00). Il saggio si accompagna al libro recente di Guido Salvini, magistrato che ha invece cercato le verità in una vicenda intricata e inquinata da troppi depistatori, e quello dell’anno scorso di Benedetta Tobagi che scritto compulsando accuratamente una mole vastissima di documenti.
Così presenta il libro la casa editrice: “Pinelli (l’anarchico tramviere accusato dapprima dell’attentato, volato dalla finestra della questura durante un interrogatorio e morto per “malore attivo”, come disse la versione ufficiale, ndr) è stato assolto, da Napolitano, nel 2009. Quarant’anni dopo. Calabresi (il commissario poi ucciso dalle Br, ndr) è considerato un martire cattolico e ha in corso un processo di beatificazione. Il giudice Salvini, che ha scoperto i veri autori della bomba, accusa la magistratura milanese di aver taciuto colpevolmente per decenni. Due militanti anarchici scoprono dopo quarantacinque anni che quella notte, in questura, tutti hanno mentito. E l’orribile segreto è che furono tutti pedine di un grande gioco dei servizi segreti. I famosi, sconosciuti, “Affari Riservati”. Questo è un viaggio nella memoria”.
Deaglio ricostruisce la vicenda andando sui luoghi dell’attentato e ricostruendo le vicende di alcuni personaggi chiave dell’intrigo. Dal ballerino anarchico Valpreda, poi assolto per insufficienza di prove ma innocente, che un tassista accuse di aver portato verso la piazza pochi minuti prima dell’esplosione, l’autore ricompone la vicenda tragica di Pinelli. Deaglio racconta del giudice Salvini, che ha scoperto chi ha messo la bomba ma nel suo volume (quello del magistrate) critica duramente la magistratura. Dunque il giornalista ricompone tanti tasselli di una storia su cui pezzi importanti dello Stato italiano hanno messo la sordina affinché non si arrivasse ai responsabili. E molte risposte ancora mancano.
Deaglio ricostruisce i passaggi della destra eversiva in Veneto che pianificò l’attentato, come il potere politico protesse dalle maglie della giustizia chi non andava protetto, racconta chi ha combattuto e resistito, tra mille difficoltà, perché si arrivi a conoscere tutte le verità. Ma lo scrittore va oltre, scrive Claudio Piersanti in una lunga recensione sul sito doppiozero.com: “Non è soltanto un libro di storia, perché quella storia non ha ancora avuto una fine. La bomba di piazza Fontana, che causa la morte di diciassette persone e novanta feriti, con tutte le bombe che seguiranno e con quelle che l’avevano preceduta, mette in discussione la storia stessa del nostro Paese, la sua stessa fragilissima natura democratica”.
Quell’attentato fu pianificato e messo in atto da personaggi eversivi dell’estrema destra con il sostegno di servizi deviati e apparati dello Stato conniventi o quanto meno che li protessero. Lo scopo è emerso chiaramente: con l’ “autunno caldo” e le proteste sociali e politiche allora in corso, la bomba voleva imprimere una svolta fascista al Paese. E inaugurò la “strategia della tensione”, una strategia per incutere il terrore e favorire un colpo di Stato visto che in Grecia già da qualche anno agiva il feroce regime dei colonnelli.
«Molto efficace l’incipit del libro – scrive Piersanti nella sua recensione – un’immagine che ci trasporta in un complicato mondo di segni apparentemente indecifrabili. La fronte di un interlocutore di Deaglio, “un sopravvissuto” e un testimone della strage. Quando un raggio di sole raggiunge la sua fronte la pelle si illumina. Deaglio è anche medico e un particolare così assurdo non poteva sfuggirgli. Sono minuscoli frammenti di vetro, l’onda d’urto dell’esplosione di quel 12 dicembre 1969. Era tale la spinta, la forza dell’esplosivo, che questa polvere vetrosa ha scavato la prima barriera della pelle per insediarsi in profondità nella sua cute e producendo, in certe condizioni di luce, una sorta di fluorescenza».
Quel sopravvissuto, ferito a una gamba, andò ai funerali delle vittime: «Camminavano “come se ci stessimo tutti avviando a una fucilazione.” A questo era servita la bomba: il sopravvissuto lo dice con straordinaria lucidità». E il recensore di doppiozero, Claudio Piersanti, registra una domanda tuttora validissima che viene a galla leggendo le pagine di Deaglio: «L’Italia è mai stata un paese davvero democratico? È mai esistita un’Italia liberal-democratica nel sentire comune? (….) Non è vero che non ci sono risposte e che non si sa nulla, anzi da anni sappiamo quasi tutto. Le nuove scoperte ci sono, e sono significative: documenti, nomi, circostanze. Mancano soltanto le conclusioni logiche: del resto è difficile che un’intera macchina statale recepisca la consapevolezza di essere il principale problema del Paese».