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Il lato oscuro della riserva indiana nelle “Ragazze del Dakota”

Il romanzo di Gwen Florio, reporter dalle zone di guerra, ha suspense, senso di umanità ed esplora le anime gelide in un freddo nord

Il lato oscuro della riserva indiana nelle “Ragazze del Dakota”
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18 Ottobre 2019 - 10.54


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Rock Reynolds

D’accordo: è un modo di dire. Però, chiunque sia mai stato negli Stati Uniti o in Canada e abbia avuto occasione di percorrere in automobile una strada di quelle che, per interminabili miglia, ne solcano le praterie quella sensazione l’avrà provata: il cielo è più grande o, quanto meno, pare più grande. È una sensazione intensa e, a tratti, intimidisce chi non vi è abituato, come se davvero la vastità dell’universo rendesse ancor più insignificante la portata della vita di chi la sta ammirando.
Chissà se i nativi da quei cieli si sentivano protetti o minacciati? Probabilmente, dietro ogni nube e dietro ogni folata di vento erano convinti che si celasse una divinità più o meno benigna. Ma il male non dai cieli sarebbe venuto. Sappiamo tutti che fu il mare a spargere sulle coste del continente americano i semi europei dell’annientamento.

L’oceano è l’elemento naturale forse più alieno a cui si possa pensare nel Montana, il quarto stato degli Usa per superficie, la cui conformazione geografica e la cui bassa densità di popolazione ne sfumano davvero i confini ideali con il vicino Canada. Ed è dal Montana che prende le mosse il bel romanzo Le ragazze del Dakota (Marsilio, traduzione di Fabio Zucchella, pagg 304, euro 17) di Gwen Florio, giornalista candidata per tre volte al Premio Pulitzer per i suoi reportage da zone di guerra come Afghanistan, Iraq e Somalia, che nel Montana, per la precisione a Missoula, vive.

Il cadavere di Judith, spogliarellista indiana 
Lola Wicks si è trasferita a lavorare in un paesino anonimo del Montana, da Baltimora. L’ambiente in cui si trova a operare non è certo entusiasmante, a maggior ragione per una abituata a scrivere da contesti internazionali. A mettere un po’ di pepe, si fa per dire, nella grigia, spesso bianca monotonia delle giornate pensa lei stessa, iniziando a frequentare Charlie, lo sceriffo locale, e poi a conviverci, suscitando qualche pettegolezzo nella sparuta comunità locale. Ma quando il cadavere di Judith, una ragazza indiana scomparsa da un po’ di tempo, viene rinvenuto nella neve, l’istinto di cacciatrice di notizie e la sete di verità tornano ad affiorare con prepotenza nella coscienza di Lola, malgrado i moniti di Charlie a non uscire dalle righe e a non pestare i piedi di gente che, in un luogo isolato come quello, non ha certo problemi a piegare la legge alle proprie necessità criminose.
Lola scopre che Judith si guadagnava da vivere come spogliarellista in sordidi nightclub di una località ancor più isolata, nel confinante North Dakota, dove una serie di pozzi petroliferi tra foreste quasi vergini danno lavoro a una popolazione di sbandati, un sottobosco di disperati che abitano in tuguri messi a disposizione dall’azienda estrattrice. Lola decide di raggiungere quel posto dimenticato da Dio e pure dagli uomini, dove chiederà aiuto allo sceriffo locale, Thor, e alla sua strana consorte, Charlotte, che invano tenteranno di dissuaderla dall’andare in fondo a una storia dalle pieghe sempre più sorprendenti, con una serie di sparizioni di ragazze indiane. Perché siamo nel mezzo di una riserva indiana, dei Piedi Neri, per l’esattezza, e la vita in una riserva non è esattamente come quella di qualsiasi altra comunità fuori dai suoi confini.

Sopraffazione, disoccupazione, violenza, alcolismo e machismo
Gwen Florio racconta una vicenda fosca, tristissima, facendo ricorso agli strumenti dell’autentica romanziera più che a quelli della giornalista. Non c’è freddezza nel tono narrativo, non c’è quel distacco che spesso i giornalisti passati alla narrativa evidenziano, una sorta di dazio automatico da pagare per effettuare una transizione che parrebbe naturale. Gwen Florio non si risparmia nel riversare sentimento in ciò che scrive. Impossibile fare diversamente, forse, considerata la delicatezza dei temi trattati. Ovviamente, il lettore scoprirà da sé come si dipanano i misteri e non è certo il caso di facilitargli il compito. Ma l’ambiente quasi extraterritoriale della riserva, dove nemmeno la polizia indiana riesce realmente ad amministrare la legge e dove talvolta non desidera proprio farlo per non ledere equilibri difficili, è raccontato mirabilmente. Un ambiente in cui sopraffazione, sottosviluppo, disoccupazione, violenza, alcolismo e machismo sono all’ordine del giorno.

Il freddo sovrano nella nazione indiana
Ecco l’analisi impietosa di quel mondo che Gwen Florio fa: “In alcune riserve le donne morivano per mano di un uomo più che per un dignitoso cancro al seno, un infarto o una placida vecchiaia. In tutta la Nazione Indiana una donna su tre veniva stuprata, ma le percentuali di incriminazione degli aggressori erano talmente scarse da essere risibili e comunque legalmente insignificanti, se gli aggressori non erano indiani. E la maggior parte non lo era. Le sopravvissute vivevano in zone isolate a stretto contatto proprio con quegli uomini che riuscivano a farla franca”.
È un mondo dominato dalla solitudine che una natura preponderante e un clima per nulla ospitale amplificano in maniera letale. Il freddo è sovrano, come scopre Lola a sue spese: “Sentì la pelle irrigidirsi, le narici chiudersi. Il gelo penetrò nei polmoni stringendoli e trasformando i respiri in brevi sussulti. Portò la mano verso la gola per cercare di trattenere il calore del fiato e facendolo ebbe l’impressione di infrangere l’aria, quasi fosse vetro”.
È il grande Nord, un’enorme striscia di terra di sconvolgente bellezza e inquietante isolamento. È la terra da cui è fuggito il giovane Bob Dylan, nativo del Minnesota, o da cui si sono allontanati per non farvi più ritorno i canadesi Neil Young e Joni Mitchell. Dylan, come sempre parco di parole, non ha mai avuto molto da dire sul nativo Minnesota, se non che il richiamo delle sirene antinebbia dei bastimenti in arrivo al porto di Duluth sul Lago Superiore gli trasmetteva un anelito di libertà possibile. È il nord di North Country – Storia di Josey, un film in cui una splendida, credibile Charlize Theron racconta le difficoltà della vita nel maschilista Minnesota minerario e le angherie quotidiane a cui un’operaia è costretta a sottostare. È pure il nord di Brokeback Mountain, ambientato nel vicino Wyoming e imperniato intorno alla relazione proibita tra due cowboy in un ambiente a dir poco omofobo.

Un notevole senso della suspense
Ne Le ragazze del Dakota di Gwen Florio non manca nessuno di questi elementi, oltre a un notevole senso della suspense che tiene ancorato il lettore alla storia per spingersi rapidamente verso il climax finale. James Grady, nativo del Wyoming, è uno che di suspense si intende e, malgrado le sue storie si svolgano per lo più a Washington e lui stesso viva nei dintorni della capitale, mantiene un rapporto stretto con lo stato d’origine. Molti ricorderanno il film I tre giorni del Condor, un adattamento del suo romanzo I sei giorni del Condor, che ha fatto di lui una star dei romanzi di spionaggio, ma proprio in questi giorni negli USA è stato dato alle stampe A million acre, una raccolta di fotografie, racconti e saggi di artisti del Montana curata da Keir Graff e il cui ricavato andrà a favore di un ente ambientalista del Montana.
James Grady vi compare al fianco, fra gli altri, della stessa Gwen Florio, nei confronti della quale ha parole estremamente lusinghiere. “Adoro Gwen, una giornalista coraggiosissima, una sorta di eroina di un film illuminato sulla figura del giornalista. È una abilissima reporter di strada e, dopo essersi occupata di cronaca nera in una grande città della costa orientale, si è trasferita in una cittadina del Montana. Ha scritto reportage su scandali sessuali e stupri che hanno fatto rumore e dirige una delle ultime grandi redazioni giornalistiche nel Montana. Ti sa catturare con la sua arguzia e il suo senso dell’umorismo, cerca sempre di nascondere il cuore grande che ha, adora la sua famiglia. E, se ciò non bastasse, scrive romanzi incredibilmente appassionanti e al tempo stesso profondamente veri.”

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