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L’uomo bianco sul trono africano di Tierno Monénembo

“Il Re di Kahel” è un romanzo con personaggi travolgenti e folli come un visconte di fine ‘800 intenzionato a “civilizzare” il continente sub sahariano perché si sente superiore

L’uomo bianco sul trono africano di Tierno Monénembo
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13 Agosto 2018 - 10.48


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Rock Reynolds

Tempi duri per il popolo italiano, tradizionalmente di animo nobile e spirito accogliente, fino a poco tempo fa convinto della propria indole antisegregazionista e antirazzista. Ovvero finché Nord e Sud non si sono trovati uniti nell’esprimere i primi commenti poco nobili e per nulla accoglienti su chi in Italia approda in cerca di un futuro e di una dignità che nel paese di provenienza gli/le sono negati. E quel paese, con ogni probabilità, fa parte del grande continente africano, quello maggiormente spogliato nell’era del colonialismo e, in un secondo momento, abbandonato alla sua sorte quando non a un destino pilotato dagli interessi latenti dei paesi colonizzatori.
È davvero finita la pacchia? O, piuttosto, non è mai cominciata? E sarà vero che qualche ragazzino, naturalmente bianco, annoiato e ingenuo, ha esploso qualche colpo di scacciacani contro un uomo di colore solo per fare una bravata e senza aver scelto la propria vittima sulla base del colore della pelle? O, magari, non è la prima difesa suggerita dagli avvocati di parte? Domande probabilmente destinate a restare senza una risposta. D’altro canto, si sprecano sui social le autogiustificazioni di chi, dopo aver sparato veleno sulle bestie esogene che vengono a contaminare il nostro suolo, la nostra società e, udite udite, ora persino il nostro corredo di virus e batteri – tranquilli, l’obbligo a vaccinarsi al tempo non vigeva – pretende gli sia riconosciuto un atteggiamento autenticamente cristiano e tollerante, della serie, “Io non sono razzista, però…”. In quel “però” sta, forse, il futuro etico e civico del nostro paese. Excusatio non petita…
Pagine avventurose e divertenti
Ecco che un bel romanzo africano, da poco comparso sugli scaffali delle nostre librerie, potrebbe aiutarci a dare una risposta alle domande di cui sopra, regalandoci per giunta pagine intense, avventurose, divertenti. Il Re di Kahel (Nuova Editrice Berti, traduzione di Gabriele Fredianelli, pagg 345, euro 19) di Tierno Monénembo, autore di lingua francese della Guinea, residente in Francia, segue di un paio d’anni Il terrorista nero, pubblicato sempre da Nuova Editrice Berti. Due storie diversissime per ambientazione quanto per stile, accomunate peraltro dalla medesima capacità di delineare situazioni e personaggi autentici e travolgenti.
Il visconte Olivier de Sanderval fin da giovanissimo si mette in testa di raggiungere il cuore dell’Africa nera e di scoprire mondi nuovi, per poi insediarsi su un territorio da rivendicare come vero e proprio regno personale, sull’altipiano di Kahel. Ovviamente, la sua partenza da Marsiglia nel 1879 per quella che si presenta fin dall’inizio come un’impresa titanica non è esente da grosse incognite e de Sanderval sa che dovrà lottare con una serie di forze avverse: il clima torrido, le belve feroci, i serpenti velenosi e gli insetti molesti, le febbri malariche, ma soprattutto, le superstizioni e i pregiudizi di popoli tra loro in contrasto, l’ostilità quando non la vera e propria opposizione violenta di alcuni signorotti locali, la lontananza da casa e, non ultime, le lusinghe dei piacere effimeri del viandante bianco. Ma de Sanderval è un sognatore illuminato che conta di instaurare un nuovo regno a sua immagine e somiglianza nel Fouta-Djalon, un territorio quasi mitico in cui nessuno vuole andare perché ritenuto troppo pericoloso. “L’Europa è stufa di tutto. È qui che la Storia ha una possibilità di ricominciare. A condizione di far uscire il negro dal suo stato animale.”
Muovendosi dalle parti del romanzo d’avventura classico, con la scelta di un linguaggio quasi arcaico che pare mutuato dai nomi più altisonanti che hanno percorso la stessa strada narrativa, Il Re di Kahel si lascia apprezzare sempre su due diversi piani interpretativi: quello della storia di avventura, appunto, che balza immediatamente all’occhio, e quello più sottile della critica dell’atteggiamento ambivalente dei colonizzatori – “Andate a uccidere tutti i cannibali?” “No, vado a convertirli, voglio farne degli eruditi!’” – così come, pure, della volubilità e, talvolta, cialtroneria di certi leader africani. Il tema razziale, evidentemente, sta molto a cuore dell’autore, al punto da essere il sottotema centrale de Il terrorista nero. Il suo debito nei confronti della narrativa classica internazionale è una sorta di tributo aperto e la scelta del romanzo storico per raccontare l’incompiutezza di certe aspirazioni universali è vincente.
Un’Africa (o Europa) sghemba?
È un’Africa “sghemba” quella in cui de Sanderval si muove. “Presso i fulani, ci si siede sempre di sghembo, si mangia di sghembo, si parla di sghembo, si va di sghembo, si fa la guerra di sghembo e ci si riconcilia di sghembo. Mostrarsi franchi è una mancanza di finezza, guardarsi in faccia un imperdonabile segno di grossolanità… nel Fouta la doppiezza era segno di nobiltà e di eleganza.” Sicuri che Monénembo non stia mescolando un po’ le carte e ribaltando il tavolo? Sembrano caratteristiche molto vicine a quelle di molti leader politici nostrani, mai vituperate quanto ora e mai quanto ora sfruttate. Ma è proprio la lucidità dell’analisi antropologica della società a rappresentare un punto di forza per questo autore. “Dai suoi palazzi di Kahel, lentamente, come la lebbra invade il corpo, la sua potenza e la sua gloria si sarebbero estese, capanna dopo capanna, tribù dopo tribù… sul continente intero. Sradicati dalla loro giungla e dai loro tenebrosi pensieri, quei selvaggi avrebbero gustato a sufficienza l’algebra e i piatti delicati, l’architettura e le teorie di Platone, prima che sotto la spinta ineluttabile dell’evoluzione i climi si sconvolgessero, i ghiacciai della Lapponia invadessero il Languedoc e i poveri piccoli Bianchi spaventati dovessero correre a riscaldarsi verso l’Equatore.”
Potenza della letteratura! Qualcuno dovrebbe far leggere queste poche righe alle torme blateranti dei fascionavigatori online e, magari, a qualche attuale ministro. Un povero selvaggio africano dalla penna fine come quella di un letterato dell’antica Europa? Possibile? Il sovvertimento di ogni ordine elitariamente ammissibile. Eppure, dalla madre Africa veniamo tutti e, forse, un giorno, tutti torneremo.
Un romanzo d’avventura, dicevamo, e una critica all’atteggiamento di superiorità dei bianchi nei confronti dei neri e di ostilità di certi neri che alle peggiori caratteristiche dei bianchi si ispirano. Tutto questo permea la ricerca del regno di de Sanderval, un luogo in cui la popolazione musulmana è ostile ai pochi cristiani come in nessun altro posto – purtroppo, le cose sono peggiorate anche da quel punto di vista – un luogo splendido e infido dove dietro ogni filo d’erba può nascondersi un aspide, dietro una pianta una pantera, dietro una foglia un insetto molesto quando non pericoloso, nell’aria o nell’acqua come pure nel sole traditore un malanno grave, nel cuore dei signorotti locali l’avversione per lo straniero e la malevolenza per un potenziale nemico che sfocia in aperta violenza. Perché odio e diffidenza non sono vizi esclusivi dell’uomo bianco. “Questo Bianco… Dice che è venuto con la mano senza coltello e lo spirito senza odio. Dice che è… un benefattore del Fouta.”

 

Tierno Monénembo, Il Re di Kahel, Nuova Editrice Berti, traduzione di Gabriele Fredianelli, pagg 345, euro 19

 

 

 

 

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