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Quando il “grande caldo” di romanzi e film accende i sensi

Il calore non è solo nell’aria: dalla Terra riarsa di James Ballard ai libri di Crichton e Chandler fino alla verità di Proust e a Hollywood, così i grandi raccontano il clima torrido

Quando il “grande caldo” di romanzi e film accende i sensi
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3 Agosto 2018 - 10.20


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Sergio Fortis

Caldo. L’estate evapora alle temperature dei miraggi attraverso l’immaginario, dalle parole dei libri alle immagini del cinema e della televisione. Sul mondo che boccheggia attanagliato dal caldo si è espresso il cantore delle catastrofi, James Ballard. In “Il mondo sommerso” si prospetta un’inondazione planetaria dovuta alle macchie solari. Indimenticabile la sua Londra allagata, con Piccadilly e Leicester Square divenute paludi a cielo aperto. In “Terra bruciata”, il caldo apporta la desolata panoramica di una siccità terminale, a causa di una nube industriale che impedisce l’evaporazione. A Ballard hanno domandato: «Il nostro futuro è Atlantide: un mito del passato o una minaccia del futuro?» La sua risposta: «Direi un mito del futuro. Molti miti antichi contengono profonde verità sull’esistenza umana. Ciò che è successo in passato quasi certamente accadrà anche in futuro». Sembra di risentire le parole di Platone sulla distruzione di Atlantide: «Vi fu una sola notte fra la più grande città e nessuna».
Eppure nel romanzo “Stato di paura”, Michael Crichton suggerisce che sul surriscaldamento della Terra e dell’equilibrio naturale l’opinione pubblica viene manipolata da orientamenti di moda, spesso legati a risvolti finanziari. Niente di simile per Art Bell e Whitley Strieber in “Tempesta globale”. Un noto conduttore radiofonico specializzato in UFO, insabbiamenti, gruppi occulti e complotti, si unisce a un contattista di alieni per delineare la rottura dell’equilibrio atmosferico da parte delle emissioni tossiche, con lo scatenarsi di un superciclone con effetti planetari. Affermazione che, del resto, calzerebbe al film di culto “…E la Terra prese fuoco”, diretto nel 1961 da Val Guest, specialista di effetti speciali. Qui americani e russi giocano a rimpiattino con le responsabilità degli esperimenti atomici che provocano il surriscaldamento planetario.

L’eros “hard boiled”
Il caldo, prima di minacciare il mondo, accende le passioni, dall’eros alla violenza. L’intero “hard boiled”, il giallo d’azione americano, si svolge alle latitudini subtropicali di Los Angeles o, sulla costa orientale, della Florida. Philip Marlowe, l’investigatore privato di Raymond Chandler, si muove d’abitudine nei quartieri limitrofi di Hollywood, dove le ville moresche dei miliardari sono rinfrescate dai ventilatori. Si veda la scena iniziate de “Il grande sonno”, con il detective che entra nella serra surriscaldata del generale Sternwood. Come se non bastasse già la temperatura esterna.

“Il grande caldo” sulla città e quello dei proiettili
Dichiarato già nel titolo, “Il grande caldo”, che Fritz Lang trae nel 1953 dal romanzo omonimo di William P. McGivern. Alla cappa torrida che preme sulla città, si unisce quello del piombo, sparato in abbondanza dalle pistole di criminali e poliziotti in odore di corruzione. In Florida non c’è più frescura. “Brivido caldo” è un vero e proprio inno ai sensi di Lawrence Kasdan, che esordisce alla regia nel 1981 dopo avere scritto la sceneggiatura di “Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta”. Le imprese mirabolanti dell’archeologo avventuriero vengono rimpiazzate dalle evoluzioni a letto di William Hurt e Kathleen Turner, un avvocato e la sua cliente, che lo convince a ucciderle il marito. Pressoché il rifacimento de “La fiamma del peccato”, che Billy Wilder aveva ricavato nel 1944 da un romanzo di James Cain. Anche quest’ultimo, nonostante le indubbie qualità letterarie, al traino della scuola dei duri. Tra i cui allievi trionfa Ross McDonald, creatore di Lew Archer, un altro investigatore privato condannato a indagare su adulteri ed eredità contese sotto l’implacabile canicola angelena. Paul Newman prestò due volte il corpo e l’anima al protagonista, in “Detective Story”, del 1966, regia di Jack Smight, e in “Detective Harper, acqua alla gola”, del 1976, regia di Stuart Rosenberg. Clima e risvolti trasformati in un omaggio d’autore da Roman Polansky con “Chinatown”, sommessa ma implacabile spirale di torbido e afa, nella quale al detective interpretato da Jack Nicholson non è risparmiato nulla, nemmeno la scoperta di un incesto.
Quanto ai classici, il tempo estivo diviene la perfetta cornice dei capolavori del sentimento e della memoria. Chi potrà dimenticare la rovente campagna inglese del ragazzo che scopre la donna per via vicaria in “Messaggero d’amore”, di Leslie Poles Hartley? Specialmente a visione avvenuta della trasposizione cinematografica diretta da Joseph Losey nel 1972?

Proust e “la visione totale dell’estate”
Marcel Proust dedica al calore dell’estate pagine fondamentali della “Ricerca del tempo perduto”. La sua famiglia, all’inizio dei mesi caldi si trasferiva a Iliers, che nei romanzi diviene Combray e sembra contenere tutto ciò che ogni nuova generazione attribuisce all’estate in termini di aspettativa. Scorrendo il testo oceanico di Proust, il tepore si solleva dalle righe e avvince. Fino alla grande verità: i luoghi del caldo e del sole sono quelli nei quali si ha “la visione totale dell’estate”. Un’immagine che azzera gli allarmismi dei climatologi e invita a non sprecare il piacere della pelle che scotta, che assorbe il miracolo del sole.

 

 

 

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