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Quell'ossessione degli scrittori italiani per la famiglia

Abbiamo letto i romanzi più gettonati (e premiati) del 2017; la narrativa nel nostro Paese ha un tema conduttore. Come se non riuscissimo a guardare oltre le nostre private case e storie

Quell'ossessione degli scrittori italiani per la famiglia
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23 Ottobre 2017 - 11.07


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di Delia Vaccarello

Scrivi di famiglia. Ne scrivi tanto, scavi nel passato, vai alla ricerca di chi ti ha reso quello che sei. Ma stai davvero cercando nel posto giusto? E tu, non hai messo niente del tuo nella galoppata verso una età adulta che non si capisce bene quando inizia ed è così difficile da definire? E ancora, muovendosi in questi recinti, la nostra letteratura sta trascurando le grandi sfide dell’oggi?
Se scorriamo i titoli di alcune opere di recente pubblicazione ci accorgiamo che l’orizzonte è molto affollato dalle relazioni familiari. Ad appassionare “L’Arminuta”, di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi) autrice che dichiara apertamente l’interesse per le relazioni familiari, soprattutto per il rapporto con la madre. L’Arminuta è già parola speciale, scrigno da aprire, attira per il suono delle lettere, per il significato oscuro, e nel corso della narrazione svelato, vuol dire: la ritornata. Non colei che torna, ma colei che in prima battuta viene fatta tornare, riportata dalla donna che credeva sua madre alla famiglia di origine che non conosce affatto. Ma diventa, nel tempo, colei che in fondo torna di sua volontà, che non può non sentire la voce segreta del rapporto con la sorella e le due madri, una ricchissima l’altra poverissima, quest’ultima colei che l’ha messa al mondo.
La voce del sangue? Che voce ha il sangue? Rauca, sensuale, stentorea? Non potete trattarmi come un pacco, spostandomi da una famiglia all’altra senza dirmi nulla: questa sarà una delle sue prime proteste superato lo choc profondo del disorientamento. La scrittura di Donatella Di Pietrantonio è specchio della sua poetica, è ruvida e appassionante, non concede nulla a facili ambientazioni, descrive in modo duro contesti duri, ma a un certo punto piazza il calore e l’umanità lì dove proprio non li aspetti. Non ci sono molte concessioni alla retorica, ma l’interrogativo del nostro incipit resta valido: parliamo solo di famiglia dove siamo capitati “per caso”? Solo lì andiamo a dissodare i nostri segreti ?
Da madri a padre. Centralissima e ossessiva la figura del padre in “La più amata” di Teresa Ciabatti, (Mondadori) . Quali sono i danni dell’essere la prescelta? Che ferite lascia una predilezione: Arroganza? attitudini manipolatorie? Autolesionismo? Che danni procura in chi si ritiene un palmo sopra gli altri perché il padre, dio familiare non si sa se violento o benefattore, ti ha scelto come catino dentro cui riversare un sentimento enfatico ed esaltante lontano dall’interesse per ciò che tu sei? Un padre oscuro e malato di avarizia, patologia che la dice lunga su chi si arrischia nei territori del cosiddetto “amore”. La scrittura è ossessiva come il tema, che è la ricostruzione della storia di una famiglia inserita nella storia d’Italia un po’ più ampia e altrettanto oscura. Basti dire che un certo lampadario è stato regalato al padre potente/benefattore, circondato dal generale servilismo, da un certo Licio G.
E già, la ricostruzione. Vogliamo interrogarci sulla sua portata? Si può dare valore di realtà a un ricordo unilaterale? Se io ricordo quel tale momento, il ricordo restituisce a chi mi ascolta la fotografia di chi sono io ora o del momento narrato? Forse comunica ciò che mi fa più male oggi , ciò che desidero, ciò che sento come profonda ingiustizia. Ma non sarebbe più semplice chiamarlo sfogo? Eppure quanto appassiona questo cercare se stessi nelle origini familiari “fantasticate”.
Nel romanzo familiare che è anche storia del nostro popolo, “Vita” di Melania Mazzucco (Rizzoli) non di recente pubblicazione, la storia ha più presa, e c’è più equilibrio tra storia di una immigrazione e tracce di narrazione familiare. Negli anni invece il punto di vista si è spostato, guardiamo e narriamo stando dentro le mura di casa. Lo ha fatto anche Lia Levi, in “Tutti i giorni di tua vita” (Edizioni e/o) pubblicato lo scorso anno, mantenendo un po’ di più l’aggancio con la storia (la persecuzione ai danni degli ebrei in Italia), di quanto non si senta in una opera come quella di Lorenza Pieri, “Isole minori” (e/o), dominata dalla figura di una madre combattiva che prende in mano la protesta degli isolani quando al Giglio nel 76 vengono mandati Freda e Ventura. Intendiamoci, le storie sono godibili, ma l’interrogativo resta aperto: narrare del rapporto con una madre e una sorella dominanti fotografa di più la fisionomia attuale dell’autrice o ci dice qualcosa degli oggetti della narrazione?
In questa breve passerella non possiamo dimenticare le “Le otto montagne” di Cognetti (Einaudi). Che sembrerebbero sfuggire al nostro interrogativo. Come non vedere lo spaziare dello sguardo, la fascinazione dei luoghi, il passo che la montagna impone, la sua incommensurabile esuberanza. Ma attenzione, le montagne sono la “casa” del padre e della madre di Piero, il giovane protagonista. I dirupi sono le terrazze, le valli le camere da letto, i torrenti le fontane. E Cognetti con la sua scrittura che flirta con l’infinito e l’incanto delle grandi prospettive riesce a trovare un equilibrio tra claustrofilia di famiglia e ampi scenari, cosa che lo fa saltare di livello. Per non parlare dell’amico montanaro Bruno, un alter ego, un doppio straniero e intimo che da giovanissimo lavora e spende come un adulto mentre il protagonista vive come un ragazzo di famiglia. E vive le proteste di figlio dicendo no alle salite sui ghiacciai col padre per “tradirlo” con le arrampicate insieme ai coetanei. Qui il paesaggio torna come metafora dell’animo: “Non mi rendevo conto delle differenze tra noi, nel bosco, perché lì diventavano meno evidenti che altrove”.
In fondo, ci chiediamo, la smania di famiglia non tradisce, appunto, un gusto dell’indifferenziato? Una debole capacità di misurarci con l’Altro da noi? Le sfide del nostro tempo – la politica, l’ineguaglianza, l’epopea dei migranti, il terrorismo, la crisi ambientale, le malattie incurabili – latitano dalla narrativa italiana? A confortare questa tesi i dati dal sociale. Ultimo rapporto giovani: Il 70 per cento dei giovani italiani considera la famiglia un pilastro essenziale della propria vita. Quale famiglia, quella di origine? La maggioranza di coloro che hanno tra i 25 e i 30 anni non ha ancora una propria famiglia, mentre il 94 per cento dice di aspirare a farne una. Dunque: la famiglia ha più lo statuto di sogno (con tutti i vagheggiamenti del caso) o di realtà? Possiamo davvero ritenere che sia solo colpa della crisi economica? Infine, le relazioni con il padre sono avvertite come lacunose, si teme il giudizio come fosse belzebù, si cerca l’ascolto, la mamma resta il principale referente. Qui la biologia c’entra poco, perché la funzione paterna di necessaria separazione e di stimolo a convivere con le differenze può essere svolta anche da una donna.
La domanda resta aperta e qui riformulata: la ubiquitaria presenza nella letteratura recente dell’attenzione alla famiglia di origine ci dice che rischiamo di vivere bendati?

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