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Tabù, il romanzo scandaloso e seducente di Tedoldi

Con una trama a scatole cinesi il nuovo libro dell'autore di Roma racconta una storia forte, perversamente umana, indagando nelle zone d'ombra dell'animo. Tra incubi e provocazioni

Tabù, il romanzo scandaloso e seducente di Tedoldi
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16 Ottobre 2017 - 12.31


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di Margherita Ingoglia

 

“Tabù”, il libro più controverso del 2017 dello scrittore romano Giordano Tedoldi, (edizioni Tunué, pag. 361), è scandalosamente seducente. Provocante come certe danze arabe, erotico come alcune opere di Anais Nin o le poesie di Ana María Rodas . Entra nella disperazione con il bisturi; nella nevrosi, disarmato. Avanza e ritrae il corpo dal fuoco eracliteo come un’onda, vi trascina il lettore che diventerà parte attiva del romanzo; di quel pensiero che il pensiero uncina e tira.
“Se libero la fantasia dietro quel suono lontano, mi scavo la via tra le membrane, il costato, viaggio nella vita nascosta di Emilia. Quello che per altri è il fungo psichedelico, per me è il battito di un cuore, mi allarga sotto gli occhi ferite, mi apre cavità buie, mi mostra fibre che si contraggono come artigli”.  
Dopo Deep lipsia, Io odio John Updike (Fazi, la raccolta di racconti fatta ristampare da Nicola Lagioia nel 2016 per Minimum Fax) e I segnalati (Fazi, il cui titolo si rifà a un’opera primo-novecentesca del compositore austriaco Franz Schreker, Die Gezeichneten, «i segnati», «i predestinati»), Giordano Tedoldi irrompe ancora una volta nel panorama letterario come un outsider di raro prestigio, scandalizza e con Tabù torna a dare speranza alla letteratura italiana.
Piero Origo è il migliore amico di Domenico Gattaponi e segretamente innamorato di sua moglie Emilia che riuscirà a sedurre e a portare a letto, infrangendo così, il primo tabù legato al nono comandamento della religione cristiana. Piero, a sua volta, ha un rapporto clandestino con Dolly che però ha una relazione con Marco. Tutti i personaggi del romanzo, afflitti da fragili incubi che tormentano la loro anima, sembrano inafferrabili e volti a soddisfare, nella loro individualità, una maestranza musicale simile ad un coro greco. I rapporti si intrecciano, claustrofobici, nevrotici, labili; generano una sensazione di pathos eguagliabile solo a certe trame sofisticate dei thriller psicologici. Le relazioni, eroticamente pericolose, e l’amore, sottile e malvagio, si compongono di nuova materia.
Cosa li spinge a comportarsi come cavie del piacere, ad abbandonarsi a quella roulette perturbante, del corpo? Afflitto da un morbo che colpisce corpo e anima dei personaggi, l’amore non è più il movente che spinge a compiere gesti estremi di conquista; l’amore è ridotto ad un cadavere. Il dramma borghese tedoldiano diventa così, antropologico, psicologico e musicalmente drammatico. Indaga nervi e vene dei rapporti umani, osserva gli istinti, le pulsioni dei protagonisti, in modo pungente e dissacrante. Sfida la morale dei personaggi e del lettore, fino dove si è capaci di raccontare, fin dove è possibile stimolare e scuotere: disturbare. Così, con infinite sfumature di tocco, ripercorrendo i personaggi attraverso i dettagli più invisibili, si prova a risalire al motivo che ha fatto dell’amore un corpo ammazzato.
“La carne per l’umanità è perduta, il corpo è perduto e non lo recupereremmo nemmeno diventando cannibali”. 
Quando la voce narrante passerà improvvisamente da Piero a Eusebio Kahn, il prete a cui viene affidato il compito di raccontare la storia del primo protagonista, Piero, anche il registro linguistico subirà una cambio repentino, mostrando tutta la magnificenza della scrittura tedoldiana.
“L’amore tra uomini non cristiani, non più cristiani, è una cosa estremamente complicata. Si naviga a vista, si approda in paesi selvaggi, dove è in uso tutto e il contrario di tutto. (…) Non c’è bisogno del cristianesimo per assoggettare gli uomini a leggi di cui non possono interrogare le ragioni ultime, a cui devono legarsi nonostante la resistenza dei loro istinti”.
L’amore duale, tra uomo e donna, si spinge al divino, al trino, fino a generare il caos. Nella seconda parte del romanzo il lettore verrà catapultato in una comune esotica chiamata Xanadu (la dimora di piacere citata da T.S. Coleridge in Kubla Khan) dove si pratica l’amore libero, il sesso tribale. Uno spazio d’eccezione, una zona – per dirla alla maniera di Strugackij, autore di Picnic sul ciglio della strada – in cui tutto è permesso. Dove la proibizione, dovuta alla morale pubblica, si scioglie in un sogno nel quale però, proprio per questo daltonismo tedoldiano che ci mostra le infinite composizioni di una realtà inafferrabile, sempre distante da ogni percezione, la felicità, in quel luogo, quell’Eden del piacere, non esiste. I personaggi, colti da una strana epifania, mutano. Piero ha improvvisamente un trasversale istinto paterno, mentre Dolly piange lacrime di guerra, e ammette di non avere quell’inclinazione che la morale vuole che possieda ogni donna. Dolly, lascia cadere l’ennesimo tabù per il quale una donna può non sentirsi una mezza-donna benchè non senta la necessità di generare. Le donne di Tabù sono un anagramma scintillante che sembrano venire fuori dalla Tabula cortonensis. Sono tutto e il contrario di tutto; Emilia è desiderio, o l’amore per il desiderio che non deve compiersi; evanescente come un’illusione, costante come la speranza e inafferrabile come un sogno. Dolly, cinica, selvaggia, artistica, sembra quasi l’alter ego di Piero al femminile, e ancora Giuliana, Antonia, Messabianca… Donne che salvano, dannano e condannano, ad una Paradiso o un Inferno – chissà poi quale sia il bene e quale il male- perchè, anche questo, nel daltonismo tedoldiano, è relativo.
Piero è un dandy moderno, erotico, estetico, spudorato. Amorale e ulissico in cerca di avventure, incapace di un rapporto unico e stabile. Brama sperimentare il piacere attraverso la libertà del corpo. Venera le donne perchè sono essenza di bellezza e fonte di piacere, non si capisce fino a che punto ne ammiri anche le qualità intellettive. Ha un Ego smisurato, forse solo i suoi problemi intestinali lo ridimensionano ad un essere fragile. Trascina i personaggi sulla sua scacchiera delle perversioni che tutti nascondono, e pur partecipando attivamente alle partite, sembra provare un ulteriore piacere nell’osservare come questi si comportino in libertà. Li pone dinanzi i propri limiti e mette alla prova quella millantata morale, figlia di reticenze religiose, culturali, familiari, assorbite e mai criticate. Accettate senza esser mai messe in discussione.
Con una trama a scatole cinesi, Tabù è un romanzo perversamente umano. Possiede una dissacrante capacità mimetica con le zone d’ombra degli uomini. . Nello stile di Giordano Tedoldi c’è il respiro dei classici, l’erotismo dei corpi in comunione, la passione, la violenza, la ferocia, la solitudine, la pietà. Camaleontica, la scrittura, cambia pelle, incarna dubbi, emozioni, fantasie, follie, infermità. Scarnifica ogni certezza. Commuove, turba, disturba. Cos’altro deve fare un romanzo?
Tedoldi sfida il lettore, lo mette alla prova. Filosofeggia con il martello, ne tasta i millantati valori con cruda precisione. L’amore amorale porta i protagonisti a superare i propri limiti, ad infrangere le regole, ma alla regola torna, come un vizio ciclico, per mostrarci banalmente la piccolezza degli uomini capricciosi
La capacità di saper narrare nasce dalla capacità di saper vedere e del saper sentire. Tedoldi è uno dei pochi autori italiani che sappia scrivere dell’amore, quello perduto, quello prima che sia perso. Dell’amore spirituale e carnale. Quello bestiale. Dell’amore che si limita a osservare. Tedoldi è uno scrittore per scrittori e Tabù un grande romanzo, di quelli che non si leggevano da troppi anni.

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