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Diamanti, da Ian Fleming a Marilyn una passione che dura per sempre

Le pietre eterne fungono da valuta senza frontiere. E questo è un dato. L'altro è che riversano i loro scintillii prismatici su un’epopea criminale che è fonte d'ispirazione per cinema e letteratura

Diamanti, da Ian Fleming a Marilyn una passione che dura per sempre
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17 Settembre 2017 - 17.18


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di Enzo Verrengia

La finanza virtuale del turbocapitalismo si regge su sostanze ben concrete, come l’oro e i diamanti. Questi ultimi costituiscono una delle ricchezze principali strappate all’Africa e, fra le altre cose, all’inizio dello scorso decennio sono stati al centro della sanguinosa lotta fratricida tra il Revolutionary United Front of Sierra Leone e l’esercito regolare di quel Paese, lo SLA. Le pietre eterne fungono da valuta senza frontiere in cui convertire i profitti della droga, degli investimenti offshore, degli intrecci fra corruzione politica e affari. Più dell’oro, soggetto alle fluttuazioni, i diamanti riversano dai loro scintillii prismatici un’epopea criminale cui attingono il cinema e la letteratura.

Ian Fleming vi attinse per la quarta avventura di James Bond, Una cascata di diamanti, il cui titolo originale echeggia lo slogan pubblicitario della De Beers, Diamonds Are Forever, i diamanti sono eterni. Il materiale di documentazione raccolto per il romanzo conteneva in sé suggestioni perfino superiori alla fiction. Ecco quindi che Fleming propose ai lettori il primo dei suoi libri di saggistica, Il traffico dei diamanti. Un’inchiesta che non ha nulla da invidiare alle avventure di 007 per suspense e colpi di scena. Il tutto a partire dalle considerazioni che Fleming appose all’inizio: «A volte uno scrittore di thriller può avere una corrispondenza interessante». Fu per lettera infatti che lo contattò l’investigatore speciale incaricato dalla Compagnia dei Diamanti britannica di indagare sul traffico clandestino del prezioso minerale a partire dai giacimenti africani. Si legge quindi di un dentista incaricato di visitare accuratamente gli estrattori per controllare che non abbiano inserito minuscole gemme nelle cavità della carie. E il più delle volte ne trova. Ancora, la mancanza di scrupoli degli intagliatori di Amsterdam, per i quali non conta la provenienza bensì il risultato finale: la perfezione delle sfaccettature ottenute con strumenti di altissima precisione, per maneggiare i quali la maestria artigiana sconfina nel puro genio scultoreo. Dati che Fleming fornisce con l’accuratezza del suo precedente apprendistato da giornalista della Reuters e del suo impiego alla casa editrice Kemsley come caposervizio esteri, senza per questo rinunciare alla presa suggestiva di una prosa firmata dall’individuo capace di inventare Bond. Alla fine del libro rimane un’impressione di soggiogamento perfino più insopprimibile che all’inizio. Il traffico dei diamanti è una lunga pista di sangue e violenza, le cui articolazioni più atroci permangono sostanzialmente immutate ai giorni nostri. Anzi, l’avvento delle nuove tecnologie e la possibilità di integrare il circuito illegale con l’accesso a Internet moltiplica gli interessi in gioco.

 

  Non stupisce dunque di risentir riecheggiare la voce sensuale di Marilyn Monroe che canta Diamonds Are a Girl’s Best Friends, i diamanti sono i migliori amici di una ragazza, in Gli uomini preferiscono le bionde, lo splendido musical diretto nel 1953 da Howard Hawks. In quella canzone maliziosa e insieme ingenua sembra accorparsi il risultato di tanto agitarsi per quelli che in fondo sono pezzi di carbonio cristallizzato. Fa lo stesso Shirley Bassey in Diamonds Are Forever, la canzone del film omonimo di 007 che nel 1971 segnò il ritorno di Sean Connery nel suo ruolo più carismatico. Il succo del testo è che l’immaginaria protagonista del brano preferisce le gemme alle parole d’amore, che non durano certo per sempre…

  Taglio di diamanti è un sofisticato film giallo-rosa firmato nel 1980 dallo scomparso Don Siegel, insolito nella carriera di un autore noto per la violenza e la dissacrazione. Qui il ladro di prima classe interpretato da Burt Reynolds deve districarsi da una affascinante investigatrice, Lesley-Anne Down, e da un ispettore prossimo alla pensione, David Niven. Per quest’ultimo è un autentico capovolgimento di ruolo rispetto al gentleman-cambrioleur de La Pantera Rosa, che tanto per cambiare era un enorme diamante e che ha a sua volta originato l’intero ciclo concepito dal regista Blake Edwards, giunto dal primo episodio del 1963 a, Il figlio della Pantera Rosa, del 1993, con Roberto Benigni e ai rifacimenti con Steve Martin invece di Peter Sellers. Del resto, il dimante torna nella sterminata mitologia letteraria e cinematografica sui grandi furti, da La pietra di luna, tra i capostipiti del giallo, di William Wilkie Collins, fino ai B-movies italiani degli anni ’60, nei quali la tecnologia degli “uomini d’oro” artefici dei colpi era ripresa da James Bond.

   Si è poi voluto trasferire l’aura magica del diamante da rubare nel mondo dei chip con Entrapment, di Jon Amiel (1999) un film in cui Sean Connery recitava un po’ il suo personaggio per antonomasia, proiettato nel mondo della pirateria informatica alla vigilia del temutissimo bug provocato dal salto di data. Eppure un diamante resiste più dei circuiti integrati, il suo valore è insito e non risente delle informazioni che convoglia, inoltre è inattaccabile da disfunzioni e virus. Per questo i signori del  profitto sporco seguitano a commissionarli ai signori delle armi e della morte, tutta gente che combatte fuori campo dai notiziari la guerra dei diamanti.

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