di Giammarco Maestrini
In occasione quest’anno del centenario della radiodiffusione, torniamo a parlare di un lungometraggio ambientato nella metà degli anni ‘70 che mette a fuoco, oltre alla vita giovanile e spensierata di alcuni ragazzi, anche la storia di una radiostazione libera. È infatti il periodo caratterizzato dalla fondazione di molte radio libere, nate in Italia a partire dal 1976 dopo la liberalizzazione dell’etere dalla Corte costituzionale.
La radio in questione – da cui prende anche nome il film – è Radiofreccia: una radio libera emergente di provincia creata quasi per gioco dall’idea di Bruno (Luciano Federico), un ragazzo con una marcata passione per la musica, e il suo gruppo di migliori amici: Tito (Enrico Salimbeni), Iena (Alessia Modica), Boris (Roberto Zibetti) e Ivan detto “Freccia” (Stefano Accorsi).
La pellicola del 1998 nata da un racconto autobiografico della gioventù di Luciano Ligabue, vede il cantante cimentarsi nella regia del film, affiancato dall’esperto Domenico Procacci (produttore) con il quale ha prodotto lo spettacolo.
L’opera si apre con il vero speaker e DJ della radio, Bruno, che in una notte dell’estate 1993, poco prima che Radiofreccia arrivi a compiere 18 anni di attività diventando quindi “maggiorenne”, annuncia agli ascoltatori l’ultima messa in onda della puntata prima della sua definitiva chiusura. È attraverso le sue parole piene di malinconia e grande dispiacere che si rivolge agli spettatori ripercorrendo a tappe, in un lungo flashback, la storia della loro amata radiostazione, partendo dagli albori di Radio Raptus, il suo nome originario, per poi arrivare al momento in cui questa viene soprannominata Radiofreccia. Il tutto viene accompagnato dal racconto di imprese goliardiche vissute in una piccola cittadina reggiana da parte dei giovani protagonisti, ma anche da circostanze talvolta drammatiche in cui spesso si trovano, tanto da costare la vita a uno dei componenti della banda.
Alla sua prima apparizione cinematografica Ligabue non si fa certo trovare impreparato. Come la maggior parte delle persone possono pensare, dato che viene da un mondo assai diverso da quello del cinema. Il cantante non sbaglia un colpo: film ben costruito, capace di trasmette emozioni, a tratti commovente e con sceneggiature in stile vintage che dal primo minuto fanno percepire al pubblico la realtà di quella generazione rivoluzionaria degli anni ’70 desiderosa di cambiare il mondo.
Tante le tematiche toccate durante la proiezione e che portano a riflettere lo spettatore: dal sogno di ogni radioamatore di avere una propria radio ai problemi legati alla famiglia, dalle prime esperienze amorose alle delusioni della vita, per non parlare poi della dipendenza dalle droghe.
Tutti argomenti sempre molto attuali; tra i quali spicca il tema della tossicodipendenza giovanile, probabilmente per sensibilizzare sempre più le generazioni successive. Stefano Accorsi, facendo un collegamento a quest’ultima tematica, è stato davvero in gamba nell’interpretazione di Freccia, il leader di maggiore spicco nel gruppo di ragazzi, che nella sua inconsapevolezza – data la giovane età e la mancanza di una famiglia stabile alle spalle – si lascia cadere nell’eroina salvo poi non riuscire più a controllarsi.
Sebbene il lungometraggio nel raccontare la storia della radio può risultare a tratti caotico nel susseguirsi di eventi, si riesce bene a seguire, forse anche grazie ad una ottima scelta dei personaggi. Tra questi non può certo passare inosservata la figura di Guccini (nel film Adolfo, il barista del paese un po’ burbero), che risulta adatta al contesto.
Si tratta pertanto di un film, nel complesso, veramente interessante e che i fan di Ligabue non dovrebbero assolutamente perdersi, considerata anche la colonna sonora da lui realizzata con la chitarra che va ad amplificare le sensazioni di questo capolavoro.