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“Il giornalismo ha un futuro”. Il Dispoc ospita la presentazione dell’ultimo libro di Carlo Sorrentino

Presenti anche i docenti Maurizio Boldrini e David Allegranti, a cui abbiamo chiesto una breve intervista su alcuni dei temi trattati.

“Il giornalismo ha un futuro”. Il Dispoc ospita la presentazione dell’ultimo libro di Carlo Sorrentino
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Agostino Forgione Modifica articolo

8 Maggio 2025 - 19.12


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Si è tenuta quest’oggi presso l’Università di Siena la presentazione del libro “Il giornalismo ha un futuro. Perché sta cambiando, come va ripensato” di Carlo Sorrentino, ordinario di “Sociologia dei processi culturali” e “Giornalismo e sfera pubblica” presso l’Università di Firenze. A discutere con l’autore David Allegranti, docente di giornalismo e nuovi media dell’Università di Siena e Maurizio Boldrini, professore di Storia del giornalismo presso il medesimo Ateneo.

Un evento che ha fatto interrogare gli studenti del corso di Scienze della Comunicazione presenti e tutti gli altri partecipanti sui profondi cambiamenti che il panorama editoriale e giornalistico sta vivendo, oltre che sulle sfide che i due mondi sono tenuti ad affrontare. Quanto emerso è il ruolo di negoziatore e mediatore sociale che quanto mai come oggi il giornalista è tenuto a ricoprire. Fenomeni come la selezione algoritmica e le bolle informative, infatti, mettono sempre più a repentaglio la pluralità e la completezza informativa.

Altra grande questione affrontata è quella che evidenzia come la maggioranza dei lettori, in particolar modo quelli di testate online, sia convinta sostenitrice di un accesso all’informazione gratuito. Sorrentino ha spiegato come, sebbene un abbonamento digitale costi molto meno rispetto a quanto i più spendessero in copie cartacee qualche decina d’anni fa, quest’oggi siamo meno disposti a sottoscriverne uno. Ciò, in effetti, anche per colpa degli editori stessi che per anni hanno visto nella pubblicità la fonte primaria di guadagno.

Sorrentino ha poi evidenziato come la professione giornalistica contemporanea sia molto più complessa di come lo fosse nell’era pre-digitale. “Prima i giornalisti presumevano di sapere chi fossero i loro pubblici, oggi è fondamentale capire dove sono davvero i lettori”, afferma. Le tecniche di profilazione degli utenti, infatti, permettono di avere metriche affidabili sull’audience raggiunta e su come gli utenti interagiscono con l’articolo che stanno leggendo. Tutto ciò, correlato a fondi sempre minori e a una pluralità di temi notiziabili e canali informativi porta i giornalisti a essere sempre più dei giocolieri che “devono lanciare per aria non più due o tre palline per volta, ma venti”.

Considerazioni che rimarcano l’esigenza di una figura negoziatrice tra le notizie e il pubblico. “Non possiamo non affidarci a qualcuno che medi l’informazione”, afferma Sorrentino. Ciò perché “Senza condivisione di informazione non c’è più società”.

In conclusione abbiamo Intervistato il prof. David Allegranti su alcuni dei temi principali toccati nel corso della presentazione.

D: Riferitamene alla tendenza di assecondare gli interessi del lettore dove è possibile porre il confine oltre il quale si cade in una malsana accondiscendenza nei suoi riguardi, preservando dunque la funzione pedagogica dei giornalisti?

R: “Penso che il giornalismo abbia una funzione sociale che serve a interpretare la realtà, la sua complessità. Laddove l’indirizzo giornalistico fosse esclusivamente dettato dagli interessi del lettore, dalle sue pulsioni, probabilmente non faremmo più il mestiere di giornalisti, saremmo in preda ai bisogni dall’audience senza che ci sia una capacità di indirizzo. Il giornalismo ha invece l’obbligo di fornire una ricostruzione sociale della realtà, fornendo chiavi di lettura e contestualizzazione dei fatti. Non so se la funzione giornalistica debba essere necessariamente pedagogica, ma credo debba quantomeno presentare nella giusta forma le informazioni che propone. La viralità non è metro esclusivo del successo editoriale, la condivisione di un contenuto non ne misura il suo valore. Purtroppo esiste una concezione del giornalismo che vede i giornalisti assimilati a degli influencer, per cui credo che l’agenda dei giornali non debba seguire esclusivamente il volere dei lettori. C’è bisogno di una giusta negoziazione tra gli interessi del pubblico e l’identità professionale dei giornalisti, che ovviamente deve essere preservata. Per riprendere una frase un po’ banale «non si può essere schiavi del clic» ”.

D: Al lettore medio repelle l’idea di investire in un abbonamento a una testata online. Per molti l’informazione gratuita è addirittura un diritto. Come è possibile far capire a chi la pensa così che sottoscrivere un abbonamento giova anzitutto alla qualità informativa?

R: “Purtroppo le edizioni online dei giornali, soprattutto quelle italiane, sono pieni di articoli per cui viene da chiedersi per quale ragione investire in un abbonamento per ricevere contenuti spesso di scarsa qualità. Credo dunque che gli editori dovrebbero capire che per chiedere a un lettore cento euro all’anno o giù di lì c’è bisogno di offrire contenuti di qualità maggiore rispetto a quelli spesso proposti. Investire sulla qualità, dunque, è per me il modo migliore per sensibilizzare i lettori sull’importanza di sostenere economicamente un giornale”.  

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