Abbiamo intervistato Alessandro Marchini, scopritore di un nuovo corpo celeste | Culture
Top

Abbiamo intervistato Alessandro Marchini, scopritore di un nuovo corpo celeste

Marchini è direttore dell’osservatorio astronomico dell’Università di Siena. Nel corso del nostro incontro abbiamo parlato della sua ultima scoperta, della sua passione e di tanto altro.

Abbiamo intervistato Alessandro Marchini, scopritore di un nuovo corpo celeste
Alessandro Marchini
Preroll

Agostino Forgione Modifica articolo

24 Gennaio 2025 - 16.22


ATF

“Più che il mezzo a essere davvero importante è il metodo”. È questa una delle riflessioni più feconde che mi ha regalato la discussione avuta con il prof. Alessandro Marchini, direttore dell’osservatorio astronomico dell’Università di Siena che di recente ha scoperto un nuovo corpo celeste. 2680 Mateo, questo il nome dell’asteroide che, a seguito di approfondite osservazioni, ci si è resi conto non essere solo: a fargli compagnia nel suo viaggio cosmico è un piccolo satellite che gli ruota attorno, finora non identificato. Abbiamo discusso della sua passione, di cosa significhi fare ricerca a Siena e di quali sono i suoi auspici per il futuro.

Il mio primo libro sull’astronomia lo comprai in una bancarella dell’usato per 50 lire, il prezzo di un ghiacciolo” afferma, evidenziando come questa sia anzitutto una passione, nata in adolescenza, che poi è diventata la sua professione. Una scienza che lo stesso, un po’ romanticamente, definisce come tra le più inclusive, aspetto che mai avevo preso in considerazione: “L’astronomia si pratica al buio, e inevitabilmente al buio siamo tutti più uguali. Nell’oscurità non esistono alti o bassi, belli o brutti, ricchi o poveri. Quando si dice che una persona è bella dentro, ecco, al buio, sotto le stelle, tale bellezza viene accentuata”.  

Gli chiedo come e perché si sia specializzato nell’osservazione degli asteroidi binari: 2680 Mateo, infatti, è il 24esimo corpo di questa natura che scopre. “L’osservazione degli asteroidi era un ambito a cui teneva tantissimo il prof. Millucci, mio maestro che deteneva questo ufficio prima che subentrassi io” spiega, sottolineando come non abbia da subito accolto il suo invito a intraprendere tale ramo di ricerca “credendo fosse troppo difficile”. Il ripensamento nel 2014 “Poco dopo che Millucci era andato in pensione”, afferma con rammarico. Marchini mi spiega le basi teoriche della fotometria, disciplina in cui è esperto e che applica allo studio degli asteroidi. Tale branca studia la luminosità dei corpi e la sua variazione nel tempo per dedurre informazioni a riguardo quali, ad esempio, forma, grandezza e velocità.  

È stato proprio analizzando la luminosità di 2680 Mateo che ci si è resi conto di un’anomalia: questa infatti non era costante, come ci si sarebbe potuti aspettare, bensì diminuiva ciclicamente. In considerazione di ciò il sospetto, poi confermato, dell’esistenza di un satellite che, ruotandovi attorno, metteva “in ombra” il corpo quando vi passava davanti. “Di Mateo conoscevamo già il periodo di rotazione grazie a una collaborazione internazionale – afferma Marchini – di cui da diversi anni facciamo parte. I primi a rilevare una possibile anomalia sono stati gli scienziati di un team di ricerca americano. A quel punto abbiamo osservato quattro notti nell’arco di due settimane, ma ci è voluto ancora un mese di osservazioni da parte di altri quattro telescopi per essere sicuri di quanto stessimo vedendo e constatare che le anomalie fossero periodiche”.

Domando come sia possibile una scoperta di questo calibro con un telescopio relativamente piccolo come quello dell’osservatorio dell’Università di Siena. Non può nascondere l’entusiasmo suscitatogli dal rispondere. “La cosa che mi fa davvero tanto piacere è che, quando otteniamo risultati di questo calibro, se si guarda l’elenco dei nostri collaboratori esteri il telescopio che utilizziamo è sempre il più piccolo. Sarebbe stato inutile installare un grande telescopio a 700 metri da Piazza del Campo, bisogna situarli lontano delle luci dele città. Il risultato è dunque ancora più prestigioso perché ottenuto grazie a un piccolo telescopio operante sotto un cielo cittadino” spiega. Come scritto in apertura, la riprova che a essere davvero importante è il metodo e non il mezzo.

Marchini si sofferma a parlarmi proprio di tale strumento, prodotto su misura da un artigiano veneziano sulla base di un suo schema ottico. L’idea di automatizzarlo, rendendolo dunque operativo anche da remoto, gli è arrivata quindici anni fa. “Ho automatizzato e remotizzato l’osservatorio per permettere agli studenti che non potevano frequentarlo di notte di poterlo fare da casa, compiendo le proprie prime esperienze in ambito astronomico” spiega. Un desiderio partorito anche per dar modo a una promettente studentessa disabile, impossibilitata a salire la stretta scala a chioccola che porta all’osservatorio, di poter fare ricerca.

Avviandoci verso la fine del nostro incontro gli chiedo se l’emozione di scoprire un nuovo corpo celeste sia sempre la stessa o, in un qualche modo, dopo un po’ si faccia l’abitudine. “La prima volta è sempre la più emozionante per qualsiasi cosa ti capiti nella vita – esordisce – è innegabile. Detto ciò, l’emozione dipende da quanto difficile sia stata la scoperta. A volte dal sospetto alla certezza c’è voluto davvero poco, altre volte sono state necessarie svariate ore di osservazione e analisi per essere sicuri che stessimo facendo una scoperta. Per cui, dopo l’impareggiabile emozione della prima scoperta, non si può dire che questa vada via via scemando. In questo specifico caso la quantità di osservazioni necessarie l’ha resa assai appagante”.

Gli domando in ultima battuta se abbia un sogno o una speranza per il futuro. “È già da un po’ che ho una grande speranza, addirittura da prima del Covid. È quella di costruire e automatizzare un osservatorio nella provincia di Siena. Sarebbe possibile, esistono zone che offrono un cielo davvero molto buio. È un sogno che non ho abbandonato a che spero di coronare nei prossimi anni”.  

Native

Articoli correlati