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Lino Musella applauditissimo Eduardo al teatro Vascello di Roma

Con "Tavola tavola, chiodo chiodo" Lino Musella racconta Eduardo e ridà vita al "cadavere putrefatto del teatro borghese"

Lino Musella - Tavola tavola, chiodo chiodo - recensione - ph Mario Spada
Lino Musella - Tavola tavola, chiodo chiodo - ph Mario Spada
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25 Febbraio 2023 - 20.02 Globalist.it


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di Alessia de Antoniis

Non ha il viso scavato di Eduardo, non ne imita la voce, non ne mima le movenze. E perché dovrebbe? Lo spirito di Eduardo non ha bisogno di forma. E Lino Musella, sul palco del teatro Vascello di Roma, non ha bisogno di portare forma alcuna.

Ma il cuore sì. Quello c’è e si sente. Non è un istrione quello che si agita, che monta e smonta pezzi, che sale e scende, che sussurra con l’affetto di un padre, che urla indignato, che recita lettere, che non lascia buchi nella recitazione o momenti morti nella drammaturgia.

È un artigiano del teatro, un artista che i tappeti rossi del cinema non hanno fuorviato dalla passione dell’antica arte. Qui, forse, Lino Musella è quanto più vicino a Eduardo possa essere: nell’immenso amore, nella passione per un’arte tanto antica quanto bistrattata. Bistrattata lei e bistrattato lui, quell’attore oggi osannato e che tutti chiamano maestro, ma che al Ministro dello spettacolo scriveva: “ho superato abbastanza bene i venti anni di isolamento e di ostracismo datimi dallo stesso Dicastero che lei dirige da poche settimane, riuscendo a far applaudire in Patria e a far conoscere all’estero il mio teatro”.
Quel teatro derubato dal cinema e che Eduardo, come racconta in scena, finanzierà proprio col denaro ottenuto per i suoi progetti cinematografici.

Un Eduardo, quello di Musella, che racconta l’oggi, descrivendo “uno Stato tirannico, che per sembrare mecenatesco e liberale non esita a fare il più largo uso dell’ipocrisia e della corruzione”. Un cinema che produce “film incredibili, film, cioè, che finiscono sempre per centrare questo obiettivo: concimare la stupidità e la volgarità, abbassare il livello intellettuale e spirituale della popolazione, deprimere i costumi”. Un sistema dove “con la creazione dall’alto di una ristretta clientela privilegiata e parassitaria – privati individui ed enti di comodo – che dovrebbe nascondere il dispotismo sotto la patina della libera iniziativa, si è ottenuto un teatro di evasione altrettanto gradito”. Perché così scriveva già nel 1959 Eduardo all’allora ministro della cultura dalle pagine di Paese Sera.

Sull’ideale ring creato con la scenografia di Paola Castrignanò e le luci di Pietro Sperduti, il perimetro della vita del drammaturgo napoletano. La scrivania, con le sue lettere e i suoi testi: il laboratorio dell’Eduardo scrittore di commedie eterne, di lettere al figlio, all’amico Pirandello, a politici sordi, a direttori di banca. Il camerino: il rifugio dell’Eduardo attore. Il tavolo con il modellino del San Ferdinando di Napoli, quel teatro fatto costruire tavola tavola, chiodo chiodo: la sua seconda casa, forse la prima. L’angolo con le candele votive: il teatro come costola di antichi riti religiosi che si fa esso stesso rito, che si fa sacro nel sacrificio di chi per esso vive. Quel teatro che “non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”.

Sul palco insieme a Musella, la chitarra di Marco Vidino che suona le corde dell’anima, dà voce al non detto, narra emozioni, diffonde pensieri.

Ma se a metà del secolo scorso Eduardo si rammarica per il “dilettantismo estetizzante”, l’“analfabetismo impegnato a far danzare il cadavere putrefatto del teatro borghese”, ogni volta che hai ancora la fortuna di vedere simile teatro, concordi con una frase all’inizio di “Tavola tavola, chiodo chiodo”: “finché ci sarà un filo d’erba sulla terra, ce ne sarà uno sul palcoscenico”. Ringrazi per quelle lettere gridate con passione e indignazione, che ti raccontano l’oggi come era ieri con un urlo disperato del teatro dal suo stesso palco; ringrazi per l’emozione provata per, e grazie a quel, teatro che ancora aspetta che passi ‘a nuttata. E mentre cammini nella notte romana, ti risuonano le parole del maestro: “non abbiamo una lira ma siamo i più ricchi di tutti”. E decidi che il teatro, quello che emoziona, non può essere un cadavere putrefatto.

“Tavola tavola, chiodo chiodo”
progetto di Lino Musella e Tommaso De Filippo
tratto da appunti, articoli, corrispondenze e carteggi di Eduardo De Filippo
produzione Elledieffe, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
Al Teatro Vascello di Roma fino al 26 febbraio 2023

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