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Il tempio di Cupra ritrova i suoi colori: grande scoperta archeologica nelle Marche

Grazie all'attento lavoro dell'Università Orientale di Napoli e la Soprintendenza del comune di Cupra Marittima, sono stati portati alla luce gli antichi colori del tempio romano di Cupra, coperti intorno al II secolo d.C.

Il tempio di Cupra ritrova i suoi colori: grande scoperta archeologica nelle Marche
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18 Agosto 2022 - 19.28


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In un angolo delle Marche, vicino al mare e a poca distanza da dove gli Etruschi nel VI sec. a. C. amministravano un santuario dedicato ai commerci, si insediarono i romani intorno al I sec a.C. Questo angolo di territorio si chiamava, e si chiama tutt’ora, Cupra. La cittadina di Cupra era abitata dalle famiglie degli eserciti di Marcantonio e Ottaviano e dai loro discendenti e prese il nome dalla divinità venerata nel tempio che sorgeva nei suoi confini. Di quel pezzo di storia che si raccoglie intorno al tempio di Cupra resta purtroppo poco. O così si pensava.

Scavi condotti nelle scorse settimane dall’Università Orientale di Napoli in collaborazione con la Soprintendenza e con il comune di Cupra Marittima, hanno portato ad una scoperta più unica che rara: il colore. Le pareti del tempio, suddivise in grandi riquadri, erano colorate di giallo in contrasto al rosso intenso e al nero della fascia centrale, le tinte unite erano intervallate da delicati decori di fiori e candelabri, le nicchie per le statue e forse l’altissimo soffitto illuminati da un azzurro intenso.

Il tempio di Cupra fu costruito agli inizi del primo secolo d.C., quando era imperatore Augusto. Nella sua fase di vita iniziale, il tempio venne riempito di colori in stile pompeiano. “I templi con l’interno della cella decorato da pitture sono rarissimi”, fa notare l’archeologo Marco Giglio dell’Università di Napoli “fino ad oggi se ne conosceva uno solo in III stile, quello della Bona Dea a Ostia, dove però lo schema decorativo sembra essere molto più semplice, oltre al criptoportico del santuario di Urbis Salvia, sempre nelle Marche, e al tempio romano di Nora, in Sardegna”.

Circa cent’anni dopo la sua fondazione, intorno al primo quarto del II secolo d. C., il tempio iniziò a rivelare dei problemi statici che richiesero un suo restauro radicale, “a fundamentis”. Un restauro “impegnativo e costoso”, spiegano gli archeologi, in cui si impiegarono le stesse avanzate tecniche utilizzate a Pompei dopo il terremoto del 62 d.C. Per questo si ipotizza che a finanziare quei lavori potrebbe essere stato lo stesso Adriano, che nel 127 d. C. era impegnato in un tour nelle Marche, fermandosi pure a Cupra. Fu in quell’occasione, ritengono oggi gli studiosi, che il tempio perse i suoi colori originari: dovendo rinforzare i muri che contenevano la cella del santuario, anche le pareti vennero scalpellate e probabilmente rivestite di marmo, secondo la moda dell’impero. Tutti i colori, l’azzurro cielo, così come i gialli, i verdi, i rossi, che avevano abitato quello spazio sacro, finirono in pezzi, riutilizzati poi dai costruttori romani come base per il nuovo pavimento.

Il tempio rinnovato diventò un esastilo corinzio, con le sei colonne del fronte alte nove metri e ornate da ricchi capitelli. Si arricchì anche di una serie di semicolonne in muratura, che vennero addossate alle pareti laterali, e di meravigliosi gocciolatoi a testa di leone, pure questi riportati alla luce dallo scavo di questi giorni. Dvanti alla scalinata ancora oggi conservata del santuario, si innalzò il basamento per un monumento celebrativo, forse una statua dell’imperatore. Sfortuna volle che nei secoli successivi – non è chiaro quando – venne tutto smantellato, i preziosi marmi e le imponenti colonne riconvertite a calce da reimpiegare in altri edifici. Persino i muri del tempio, a fine ‘800, vennero abbattuti per costruire un casale i cui resti si trovano ancora sull’antica scalinata di quello che fu il santuario romano. “Il parco sta valutando se restaurarlo o rimuoverlo”, spiega Giglio.

Nel frattempo, tutti i nuovi reperti sono stati trasportati nei laboratori di restauro dove verranno studiati. Gli scavi riprenderanno in primavera con la speranza che anche la Cupra romana possa ritrovare i suoi colori perduti.

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