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Simboli: Bergamo respira con i colori gioiosi di Daniel Buren

L’artista espone opere a bande luminose nella città colpita dal virus: «Per la prima volta ho dovuto lavorare a distanza interpretando così la pandemia»

Simboli: Bergamo respira con i colori gioiosi di Daniel Buren
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12 Luglio 2020 - 16.53


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Daniel Buren è l’artista francese, pittore e scultore si può dire?, che esegue opere su tela o stoffa o attraverso specchi fatte di bande multicolori, di solito verticali. Siano stendardi al vento o superfici di vetro o metallo o siano tessuti, le sue immagini spesso trasmettono un senso di gioia e di vitalità. I critici d’arte inseriscono il lavoro dell’82enne artista in correnti artistiche specifiche come la “Institutional Critique” che riflette sulla natura delle istituzioni culturali stesse, tuttavia quel che più conta è l’effetto psichico e visivo su un pubblico spesso al di fuori degli addetti ai lavori. In questo perimetro si inscrive il suo intervento in una delle città più martoriate dalla pandemia del Covid, Bergamo: la Sala delle Capriate a Palazzo della Ragione, nella Città Alta, fino al 1° novembre ospita infatti la mostra “Daniel Buren per Bergamo. Illuminare lo spazio, lavori in situ e situati”, curata dal direttore Lorenzo Giusti e organizzata dalla Galleria d’arte moderna e contemporanea Gamec che riprende l’attività dopo la pausa forzata per il Coronavirus.

Il museo fa sapere che Buren per la prima volta dal 1965 ha usato come supporto una tenda da sole dove ha applicato “il motivo a bande verticali bianche e colorate di 8,7 centimetri” che ha impiegato dal 1965 in poi. Si tratta di teli in fibra luminosa. Con una differenza rispetto agli interventi passati. Proprio a causa del lockdown Buren non ha agito sul posto ma si è affidato allo staff e alla Gamec a distanza, dalla sua Francia. Che in una conversazione con Giusti in catalogo descrive come l’operazione bergamasca rappresenti per lui un esordio: «Prima di oggi tutti i lavori che ho realizzato “in situ” li ho fatti seguendoli personalmente sul posto. Per le tristi ragioni che sappiamo, questa volta, non potendo venire a Bergamo, ho deciso di assumermi un rischio e di realizzare comunque la mostra utilizzando le tecnologie a nostra disposizione e dialogando in maniera serrata con l’equipe del museo (…). Per la prima volta – riconosce l’autore Leone d’oro alla Biennale del 1986 – ho dovuto procedere in maniera astratta. Io sono abituato diversamente e so bene, per esperienza, che quando si è in un luogo, quando si è immersi al suo interno, si vedono delle cose che la fotografia non riesce a mostrare. Qui ho deciso di osare, di rompere le mie abitudini. È davvero la prima volta. È un’esperienza nuova dettata dagli avvenimenti, ma è a tutti gli effetti un’esperienza “in situ”, anche se portata avanti a distanza, perché la pandemia – e dunque la necessità della distanza – rientrano in quelle condizioni del tempo e del luogo che il mio lavoro sempre tiene in considerazione. Non essere a Bergamo fisicamente in questo momento per me significa esserci, essere “nel luogo” a tutti gli effetti. Questa “prima volta”, che ho voluto, interpreta dunque il luogo e le condizioni storiche, la pandemia che stiamo vivendo».

Il sito della Gamec di Bergamo

La didascalia completa dell’immagine che pubblichiamo è la seguente:
Photo-souvenir: Daniel Buren, Fibres optiques tissées.
Illuminare lo spazio, lavori in situ e situati, GAMeC, Palazzo della Ragione, Bergamo, 2013 – 2020
Copyright Daniel Buren by SIAE 2020. Foto di Lorenzo Palmieri

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