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Ciao per sempre Monica Vitti amica mia e grazie per tutte le emozioni che ci hai regalato

Giancarlo Governi ricorda la grandissima attrice che se ne è andata dopo una lunga malattia

Ciao per sempre Monica Vitti amica mia e grazie per tutte le emozioni che ci hai regalato
Monica Vitti
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Giancarlo Governi Modifica articolo

2 Febbraio 2022 - 12.40 Globalist.it


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Il 3 novembre del 1931 nasceva a Roma Maria Luisa Ceciarelli, in arte Monica Vitti. Oggi se ne è andata ma mantenere viva la sua presenza provvedono i suoi oltre 50 film che rappresentano un pezzo di storia importante del cinema italiano.

Monica Vitti ha un posto di primissimo piano nella galleria delle protagoniste del cinema italiano. Ha faticato nello scegliere copioni, nel contribuire a modificarli, nella quasi ossessiva ricerca dei dettagli che la facciano apparire sullo schermo non meccanica interprete di una idea altrui, ma un vero personaggio, nel quale calarsi anima e corpo, fin nei minimi dettagli. Ha girato decine e decine di film, non si è sottratta alla televisione, è tornata a recitare in teatro in commedie di grande impegno e di grande successo. Ha lavorato anche con Bunuel e avrebbe potuto lavorare anche in America se non avesse paura di volare. Il suo posto è forse definitivamente quello di attrice comica, di grande attrice comica, alla pari con i cosiddetti colonnelli del cinema italiano, quelli che hanno fatto botteghino, che sono stati i protagonisti della straordinaria  stagione della commedia all’italiana e cioè Sordi, Gassman, Manfredi, Mastroianni, Tognazzi.

Ma per una donna è forse difficile anche nel cinema avere i riconoscimenti che merita. E’ vero che la donna comica, per tradizione, è tale se ha caratteristiche particolari: un difetto fisico, un difetto di statura, un difetto del viso, un nasone, uno strabismo, una brutta voce. Monica invece è bella, attraente, e la sua voce suona conturbante. E dire che quando bussò alle porte dell’Accademia d’arte drammatica, quella voce così personale venne giudicata un difetto da correggere. Dunque, la sua comicità non scaturisce da qualche difetto fisico che faccia immediatamente ridere. Lei è bella, di una bellezza nuova, eppure sa far ridere. I suoi personaggi somigliano molto a lei, che li riassume: sono donne di questa Italia, donne che cercano di uscire dalla subalternità, pagando prezzi altissimi. Alberto Sordi, che fu il suo partner più importante mi disse, parlando di Totò ma si capiva che parlava anche di se stesso e di tutti i suoi grandi colleghi, “l’artista di cinema non muore mai perché vivrà finché vivranno i suoi film”. Per questo non ci sarà mai malattia capace di portare via Monica Vitti al nostro affetto e alla nostra ammirazione.


Monica ha pagato per il suo essere donna, come pagò Anna Magnani, per la sua volontà di uscire dal ruolo subalterno femminile, il suo voler essere protagonista con storie femminili, con personaggi che raccontano la donna nei suoi momenti personali e sociali più rilevanti, con ironia e autoironia. Per questo suo voler essere coerentemente donna, è stata tenuta in un certo senso in disparte e, in certi momenti (quando fu la musa della “incomunicabilità” di Antonioni), addirittura dileggiata, da quelle stesse persone che mostrarono meraviglia quando, uscita dal mondo antonionesco, tirò fuori la sua verve comica che aveva rivelato fin dai tempi dell’Accademia e delle sue prime prove teatrali. L’ironia, infatti, è la sua cifra più vera e più genuina, una ironia che riesce a sfociare anche in comicità vera.


I suoi sono personaggi perdenti ma soltanto all’apparenza, perché sono sempre mossi da una molla sociale che li fa tendere al riscatto, alla affermazione. Sono donne che si difendono, che lottano per preservare la loro personalità e il loro diritto ad esserci come protagoniste.


Chi l’ha conosciuta e l’ha frequentata sa con quanta cura si sceglieva questi personaggi, come se li metteva addosso con tanta maestria ma anche con tanta cura che rasentava il maniacale. Monica impara prima il teatro, nel senso di rappresentazione diretta ma poi trova nel cinema il suo mezzo più congeniale, forse quello che gli permette di non mettersi alla prova continuamente ma di costruire minuziosamente la propria recitazione, provando e riprovando e poi montando. Ma dentro, anche nei momenti meno felici, ci sono sempre perle di recitazione, disseminate anche in contesti non sempre degni della sua arte.


Monica si preparava sempre con minuziosità, non trascurava il minimo particolare. Una volta (quando giravamo “Qualcosa di Monica”, una summa televisiva diretta da Roberto Russo, che poi diventerà suo marito) per starle vicino nella preparazione di una sequenza, mi fu permesso di assistere al suo trucco. Monica interveniva sul parrucchiere e sul truccatore con consigli che all’occorrenza diventavano ordini precisi e perentori. Lavorava sulla sua faccia con la stessa meticolosità che usava per mettersi in bocca le battute, per costruire il suo personaggio. Da una parte rimasi deluso perché quella che per me era una “diva” si mostrava con i suoi trucchi, ma poi ne fui felice perché mi sentii ammesso alla “costruzione” del personaggio. Roberto mi disse che ogni volta era diverso, perché, a seconda del personaggio, cambiava anche il trucco. Monica cercava l’esattezza e l’adesione anche formale al personaggio che stava costruendo.


Si dice che la svolta comica, dopo gli anni di Antonioni, sia avvenuta nel film di Monicelli La ragazza con la pistola, in realtà è avvenuta quattro anni prima e c’è quasi da non credere che il primo vero film comico di Monica Vitti avvenga con un regista che sarà poi il rappresentante più disinibito del genere erotico. Stiamo parlando di Tinto Brass, che ha debuttato con In capo al mondo, film anarcoide sul disagio giovanile ambientato in una Venezia ben lontana dal consueto acquarello di stampo turistico e che ora, finito sotto l’ala di Dino De Laurentiis, con Il disco volante, prende di mira la buona società veneta, rivelandone finzioni e tradimenti, bigottismo e pavidità.


Monica non vi appare in un ruolo principale, quasi che regista e produttore non siano ancora ben sicuri del risultato. Perché il pubblico potrebbe pensare di trovarsi di fronte ancora una volta alla Vitti dell’incomunicabilità, ed è dunque bene andarci piano, fare una prova, tastare il polso degli spettatori. I timori sono fondati, anche se un famoso critico scrive che la Vitti «è sempre più simpatica che in Deserto rosso», ricordandone il sodalizio con Antonioni.


Il film segna anche l’incontro con un inarrivabile Alberto Sordi, che interpreta ben quattro personaggi, e cioè un impiegato del telefono, un prete trasandato e beone, un imbranato maresciallo dei carabinieri e un conte effeminato. Forse è in questa occasione che l’Albertone nazionale intravede in Monica Vitti una partner ideale ma ci vorranno ben cinque anni prima che i due inizino la fortunata serie di commedie che li vedranno insieme, nuova grande coppia comica del cinema italiano.


Monica lavorò con tutti i colonnelli del cinema italiano ma con Alberto Sordi costituì una vera coppia. I due girarono insieme soltanto 5 film, di cui tre con la regia di Sordi, ma la loro collaborazione deve essere stata molto forte se al nome di Monica si tende ad associare anche quello di Sordi. Forse nella memoria collettiva sono rimaste ben scolpiti i ricordi dei due guitti dell’avanspettacolo di Polvere di stelle, e le peripezie di una coppia “moderna” di Amore mio aiutami . La Monica Vitti che prendeva gli schiaffi da Alberto Sordi e quella che con Sordi cantava “Ma ‘ndo Hawai se la banana non ce l’hai”. Niente riuscirà a rimuovere il ricordo della nostra “colonnella del cinema italiano”. Non c’è riuscita la malattia e non ci riuscirà neppure la morte.

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