Don Bellentani: «Un cristiano accoglie, leggete San Matteo». Parola di parroco | Culture
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Don Bellentani: «Un cristiano accoglie, leggete San Matteo». Parola di parroco

Il sacerdote di Modena cita il Vangelo, racconta cosa fanno alla parrocchia di Gesù Redentore e spiega perché il "no" a un migrante è incompatibile con l'essere cristiani

Don Bellentani: «Un cristiano accoglie, leggete San Matteo». Parola di parroco
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12 Febbraio 2019 - 09.53


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A chi approva il respingere chi arriva sulle navi delle Ong o su dei gommoni, a chi acconsente a che persone disperate non sbarchino sulle rive italiane, a chi condivide questa politica, soprattutto se si professa cristiano un sacerdote di Modena, don Fabio Bellentani, consiglia una lettura dal Vangelo: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato». «È il passaggio più chiaro, dal capitolo 25 del Vangelo di San Matteo. Come ci ricorda San Giovanni della Croce, nel Giudizio saremo giudicati sull’amore».
Don Fabio Bellentani è nato nel 1968: ordinato sacerdote nel 1993, è parroco del Gesù Redentore di Modena dall’aprile 2016, parrocchia creata nel 2001 dalla fusione due parrocchie. Lo intervistiamo perché sui social si dimostra attento e sensibile all’interrogativo su come accogliere migranti, i più deboli, chi cerca un tetto, una vita. E spiega sia cosa organizzano in concreto nella parrocchia, sia perché papa Francesco trasmette un pensiero e una cultura che travalicano il contingente, per non dire le strette maglie della politica.

Per cominciare, cosa fate a Modena sul fronte dell’accoglienza?

Sul fronte della fragilità e accoglienza sul territorio prima di tutto la Caritas parrocchiale dispensa alimenti e ha un centro di ascolto che segue 70-80 persone. Segue nuclei familiari senza distinzione di provenienza geografica, di religione o stato sociale. Naturalmente i casi vengono valutati per vedere gli effettivi bisogni.

Chi se ne occupa?

Abbiamo volontari che raccolgono cibo che viene raccolto ogni mese in chiesa e in contatto con le catene di distribuzione che sono molto disponibili: per i poveri danno il surplus a richiesta, con modalità concordate, una volta a settimana. Non lo facciamo solo noi, lo fanno in tanti; c’è un corso di italiano per le donne straniere e periodicamente facciamo cene “etniche” insieme alle famiglie delle diverse nazionalità. Poi gestiamo una Casa della carità: è una struttura nata sull’esempio delle Case di carità di don Mario Prandi, di Reggio Emilia, attive dalla Seconda guerra mondiale e gli anni ’80. Anche in parrocchia dal 2008 abbiamo una della casa carità dove ospitiamo per un periodo dai sei mesi a due anni persone in fragilità di vita e in collaborazione con i servizi sociali di tutta la provincia.

È una struttura di cure?

No, non è struttura terapeutica. Accogliamo in base alle nostre possibilità. Non possiamo accogliere chi ha bisogno di assistenza infermieristica e medica, accogliamo per esempio persone ferite dalla vita, storie matrimoniali finite male. È gestita da volontari: delle famiglie condividono qui la vita con gli ospiti insieme a una comunità di suore e al sacerdote. Accogliamo sia uomini che donne, i minori solo se con i genitori. Inoltre la parrocchia dà due appartamenti a persone segnalate dai servizi sociali a persone che hanno perso per periodi tra i sei e i nove mesi.

Esiste un problema di accoglienza verso chi è più fragile e verso i migranti?

Verso i migranti sì, ma al di là di quello che viene strombazzato per motivi di bottega e di partito, l’intolleranza e il razzismo non sono mai scomparsi dalla società italiana. È un fiume carsico. Come al nord trattavamo chi veniva dal meridione, ora trattiamo chi viene dall’Africa.

Per quale ragioni principali, a suo parere?

Per paura. Sopratutto manca il senso della pietà che dovrebbe essere un valore al di là della fede e il senso della dignità umana. Tante persone sono attente e accoglienti e disponibili, ma si respira questa aria in Italia.

Papa Francesco ha significativamente compiuto il suo primo viaggio a Lampedusa, isola degli approdi. Dentro la Chiesa e tra molti cattolici il pontefice viene criticato quando non accusato di pensare agli africani.

C’è una ostilità verso Francesco e non riguarda i solo migranti; vengono contestate associazioni cattoliche e non cattoliche perché prestano attenzione a chi è ultimo.

Per chi si professa cattolico, respingere l’aiuto ai più deboli non è un respingere gli insegnamenti di Gesù? Come fa a conciliare il Vangelo e quelle idee?

Non si giudica. A me il Vangelo dice determinate cose. Al di là dell’offrire un tetto la Chiesa ha una presenza attenta verso le situazioni di fragilità. Non tutta la Chiesa: infatti circola sempre l’accusa di pauperismo. Eppure il Vangelo è prima di tutto per i poveri, e non solo quelli sociali. La credibilità di un cristiano si misura anche in concreto su cosa fa. È concepibile dire “no” a un migrante, a chi viene su un barcone, e poi venerare il Natale? Fatico a pensare che poi la stessa persona adora il Bambino nella culla: oltre tutto era nato come profugo e come rifiutato. Non so come si fa a conciliare. Il messaggio cristiano fondamentale è l’amore universale senza riserve. Ma se buona parte dei cattolici non si fa problemi ad avere rifiuto o disprezzo verso i migranti e continua a vivere la propria fede come se nulla fosse, allora forse come Chiesa dovremmo farci delle domande. Il Vangelo ha e continua ad avere un messaggio molto più in avanti di noi.

A Trieste un politico della Lega ha gettato in un cassonetto i pochi averi di un senza tetto e se ne è vantato sui social online. Cosa gli direbbe?

Gli direi di provare a camminare nelle scarpe di chi non le ha e sperimentare come ci si sente. Certi gesti non hanno un senso di umanità verso gli altri e chi si professa credente non dovrebbe compierli. Bisogna forse essere su un barcone senza relazioni né sostegno sociale per capirlo. Manca il senso di pietà, manca il senso di immedesimarsi in chi è in difficoltà: questo dovrebbe essere il primo messaggio per un cristiano.

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