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Gaza, l'inferno della madri: partorire tra le macerie senza cure né aiuti

Senza ospedali, personale medico o acqua pulita, ogni gravidanza si trasforma in una corsa contro il tempo. A rischio 55.000 donne incinte o che allattano: Save the Children e Onu chiedono l’accesso immediato agli aiuti.

Gaza, l'inferno della madri: partorire tra le macerie senza cure né aiuti
Naima Abu Ful mostra il figlio Yazan, 2 anni e malnutrito, nella loro casa nel campo profughi di Shati, a Gaza City
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22 Settembre 2025 - 21.46


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A Gaza si stanno consumando tragedie dentro la tragedia. L’offensiva israeliana ha ridotto la Striscia a un luogo dove donne incinte sono costrette a partorire per strada, senza ospedali, personale medico o acqua pulita. Stephane Dujarric, portavoce delle Nazioni Unite, citando i dati del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), ha reso noto che almeno 23.000 donne incinte non ricevono cure, e circa 15 bambini nascono ogni settimana in assenza di assistenza medica, spesso tra le macerie. “La situazione sul campo peggiora di ora in ora”, ha sottolineato Dujarric in una conferenza stampa, ribadendo che gli ordini di evacuazione da parte dell’esercito israeliano non esonerano le parti in conflitto dall’obbligo di proteggere i civili.

A peggiorare il quadro, l’UNFPA segnala che molte strutture sanitarie (ospedali e cliniche) sono state colpite o sono a rischio di chiusura, rendendo sempre più difficile ogni tipo di intervento. In alcune aree del territorio è stata persino dichiarata la carestia (IPC Phase 5), con effetti devastanti su donne incinte, bambini piccoli e madri che allattano.

A lanciare un allarme è anche Save the Children, che ha reso noto che oltre il 40% delle donne incinte e che allattano, visitate nelle cliniche dell’organizzazione a Gaza, è malnutrito. Ha denunciato anche il blocco all’ingresso del latte artificiale, vietato a causa dell’assedio imposto sul cibo e sui beni salvavita. Delle 747 donne visitate nella prima metà di luglio, ben 323, quasi la metà, erano malnutrite, un dato praticamente triplicato rispetto a quello registrato a marzo, subito dopo la reintroduzione dell’assedio totale da parte del governo israeliano. Il personale sanitario dei due principali centri operativi di Save the Children ha documentato un aumento mensile delle madri in difficoltà, a causa della totale indisponibilità di cibo, acqua e carburante.

La malnutrizione durante la gravidanza è una minaccia diretta sia per la madre, che rischia anemia, preeclampsia, emorragie e morte, sia per i neonati: uno su cinque nasce prematuro o con un peso troppo basso, con ritardi della crescita, problemi di sviluppo e un alto rischio di mortalità neonatale. Il quadro che emerge non riguarda solo il presente, ma rischia di perpetuarsi per generazioni. Le donne malnutrite partoriscono bambini più piccoli, alimentando un ciclo di malnutrizione che colpisce anche lo sviluppo cognitivo dei più piccoli. Senza interventi immediati, si stima che entro la metà del 2026 saranno 55.000 le donne incinte o che allattano a rischio grave di morte per malnutrizione. E in caso di sopravvivenza, sopraggiunge il trauma psicologico: mettere al mondo un bambino in condizioni di estremo rischio, temere per la sopravvivenza, lascia cicatrici profonde e durature.

“Il divieto all’ingresso degli aiuti deve essere urgentemente revocato”, ha dichiarato Ahmad Alhendawi, direttore regionale di Save the Children per il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Europa Orientale. “Con percorsi di ingresso sicuri e adeguati, le organizzazioni umanitarie possono fornire la giusta assistenza e salvare vite umane”.

Mai come adesso, Save the Children sta rivolgendo un appello forte e chiaro al governo israeliano affinché rispetti i propri obblighi di diritto internazionale, garantendo accesso completo agli aiuti umanitari. Le richieste delle organizzazioni internazionali sono nette: rimozione immediata del blocco su latte artificiale, medicinali, carburante, cibo e acqua; protezione dei civili e delle strutture sanitarie; supporto prioritario per le donne incinte e le madri che allattano; e un monitoraggio internazionale che assicuri la responsabilità legale per ogni violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

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