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Oro: l’antico metallo che padroneggia il presente

In un mondo che ha l’illusione di smaterializzarsi, dominato da algoritmi e criptovalute, torna prepotente a dominare i mercati. Tocca i 100mila euro al chilo e continua a essere il bene rifugio per eccellenza. Oggi come ieri, dietro la sua aura si nasconde la violenza

Oro: l’antico metallo che padroneggia il presente
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Marcello Cecconi Modifica articolo

11 Settembre 2025 - 14.50


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L’oro è sacralità nel colore degli dèi e nel riflesso luccicante delle icone bizantine, ma anche condanna nel re Mida che, trasformando in oro tutto ciò che tocca, si accorge che il dono diventa maledizione. L’oro, dunque, non è solo un metallo perché ogni epoca ha proiettato su di esso un immaginario a due facce: salvezza e dannazione, purezza e avidità, sacro e profano.

Oggi, in un mondo che corre nell’illusione di essere smaterializzato, dominato da algoritmi e criptovalute, l’oro torna prepotente. Tocca i 100mila euro al chilo e continua a essere il bene rifugio per eccellenza. Le crisi globali causate da guerre, inflazione, instabilità politica ed epidemie, risvegliano l’arcaico ricordandoci che quando il futuro vacilla, gli uomini stringono al petto ciò che credono incorruttibile. Niente economia e finanza ma pura antropologia. Si perpetuano gesti atavici, laici e religiosi, come l’accumulo di frumento in granaio o la custodia di reliquie nel tempio.

Il grafico del costo dell’oro negli ultimi due anni  (https://it.bullion-rates.com/gold/EUR/Year-2-chart.htm)

E così, oggi come ieri, dietro l’aura dell’oro si nasconde da sempre la violenza. Dal saccheggio delle Americhe da parte dei conquistadores che inseguivano l’Eldorado, fino all’attuale devastazione dell’Amazzonia e Africa e sfruttamento della manodopera, il metallo giallo porta con sé distruzione. Allora erano popoli interi sterminati, oggi sono uomini e donne a lavorare senza sicurezza e bambini e bambine sfruttati, foreste abbattute e fiumi avvelenati dal mercurio. Il programma planetGOLD, coordinato dall’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), stima almeno 20 milioni di minatori nei circa 80 Paesi impegnati nell’estrazione dell’oro su piccola scala, di cui fino a cinque milioni donne e bambini. 

Tutte attività, spesso non regolamentate e quindi insicure per chi ci lavora, responsabili del 37 per cento dell’inquinamento globale da mercurio. L’Amazzonia, uno degli epicentri, si ritrova con comunità indigene travolte da un commercio che finanzia organizzazioni criminali transnazionali. Una contraddizione che peserà simbolicamente anche sulla prossima Cop30 delle Nazioni Unite, in programma il prossimo novembre proprio a Belem, in Brasile.

Individuare i responsabili di questo commercio criminale non è semplice anche perché manca un concreto coordinamento legislativo internazionale e, soprattutto, manca lo scambio di informazioni tra investigatori di diversi Paesi. Eppure, senza il supporto o la complicità di attori insospettabili, il mercato illegale non prospererebbe. Infatti, Paesi come Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Italia e Svizzera, i più importanti hub storici per il transito e la lavorazione del metallo prezioso, faticano a controllare i flussi, nonostante dichiarazioni ufficiali e protocolli. 

A differenza del narcotraffico, il mercato illecito dell’oro è scarsamente conosciuto e beneficia di un silenzio mediatico che fa la fortuna dei trafficanti. Un mercato che non allarma come quello della droga perché crea vittime lontano dai Paesi ricchi e si insinua in un contesto dove facilmente il crimine può lavare oro sporco e capitali illeciti. Cambiano gli scenari ma non la dinamica: il mito dell’oro giustifica l’ingiustificabile.

Secondo la Financial Accountability and Corporate Transparency (Fact) Coalition, solo i crimini ambientali generano 281 miliardi di dollari l’anno e l’oro è uno dei principali carburanti di questo mercato. Raffinerie, Stati, intermediari “rispettabili” ne garantiscono il transito facendo del metallo più incorruttibile il veicolo di corruzione per eccellenza. Ma forse il suo potere sta proprio nel rappresentare la doppiezza umana: la tensione al bisogno di sicurezza e la spinta predatoria. 

Anche la modernità non si è sottratta al fascino dell’oro. Per più di un secolo, il “gold standard” ha regolato il mondo: la ricchezza delle nazioni misurata in lingotti, la stabilità delle valute ancorata a un bene che si pensava eterno. Oggi il sistema è crollato, eppure il mito resiste e ci sono Banche centrali e governi, dalla Cina alla Turchia, dalla Polonia al Kazakhstan, che accumulano oro come se fosse ancora la spina dorsale della fiducia. Le criptovalute oscillano, i mercati si infiammano, ma l’oro resta.

Se da un lato i governi comprano lingotti per consolidare le proprie riserve, dall’altro il rincaro dell’oro e le difficoltà economiche che stanno abbattendosi anche sul ceto medio, scoraggia le famiglie, che pur rappresentano ancora oggi il 40% della domanda globale, e spinge invece il mercato illegale. Con margini enormi e rischi giudiziari contenuti, l’estrazione clandestina diventa un affare sempre più redditizio. 

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